Mammock - Itch

MAMMOCK – Itch

Gruppo: Mammock
Titolo: Itch
Anno: 2020
Provenienza: Grecia
Etichetta: Autoprodotto
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TRACKLIST

  1. Caterpillar
  2. Theme For Pets
  3. Shark Attack
  4. Dirty Shoes
  5. Inconstant State, Hot Summer
  6. This Letter
DURATA: 30:38

Partendo come sempre da qualche dato biografico: i Mammock sono un  quartetto proveniente da Atene e si trovano ad affrontare con Itch il sempre delicato debutto discografico. Un debutto che non esito, sin da subito, a collocare a occhi bendati nel mio personale olimpo dei dischi dell’anno. Nonostante sia stato reso pubblico il primo gennaio di quest’anno così travagliato, Itch colpisce e rimbomba, dopo mesi di ascolto assiduo, come un colpo di cannone appena innescato, che sorprende e destabilizza.

Collocabili, e non senza forzature, nella grande e mutevole categoria del noise rock, o comunque nell’ampia culla del post-hardcore e dell’alternative rock, il timbro dei Mammock risalta di sfumature uniche; schizzi di dolore e prepotenza che traggono ispirazione dalle più disparate realtà musicali degli ultimi trent’anni: «un bravo artista copia, un grande artista ruba», una frase attribuita a Picasso e perfettamente calzante per questo disco. Partendo da “Caterpillar” ciò che si scopre è una carica di hardcore dissonante e cadenzato, l’ombra degli Unsane smussata da un approccio meno arrogante e, in alcuni punti (come poco dopo la metà del brano), colmo di un groove strappato al blues. Già dalla seguente “Theme For Pets” si viene investiti da un basso mastodontico e dall’andamento barcollante, un retaggio comune e sempre apprezzato del noise rock anni ’90. Assieme al superbo uso del basso figurano delle chitarre spasmodiche e strillanti, che oscillano tra le molteplici sfumature del rock funkeggiante (che in alcuni punti mi ha ricordato i Mr. Bungle e i Clutch) e la marcia inarrestabile dell’hardcore più intransigente; non un secondo per riprendersi che già nella successiva “Shark Attack” si è catapultati in un mare di chitarre apparentemente calmo e placido, ma che cela al suo interno un intero branco di squali pronti a dilaniare l’ascoltatore con le letali zanne del punk.

Ciò che rende Itch un capolavoro compositivo è proprio la sublime abilità da parte dei Mammock nel costruire, su basi solide e nel loro complesso oramai classiche, delle salde strutture abbellite da ghirigori compositivi inaspettati. Dopo la già citata “Shark Attack” e il suo spettacolare finale, diretto da una sfuriata di sassofono che rimanda ai deliranti lidi del Brutal Prog, dopo essere stati investiti dalla ritmica travolgente di “Dirty Shoes” e dalla sua destabilizzante sfuriata di doppia cassa finale, si giunge a “Inconstant State, Hot Summer”, la punta di diamante di questo inestimabile disco. Orecchiabili riff di chitarra a cui seguono distorsioni e riverberi stridenti, tesi su un baratro ritmico in continuo subbuglio; sfuriate buttate in faccia all’ascoltatore da una voce che quasi cerca di strozzare frasi di rivalsa e disillusione che, in cuor suo, sa di non poter trattenere. Un cantato, quello di Andreas, dal timbro vocale profondo, ma che con il variare dei brani riesce ad assumere sfumature sempre diverse, accompagnando di pari passo ogni stravolgimento strumentale: stracci di spoken word e ombre jazz su “Shark Attack”,  strillante intransigenza su “Dirty Shoes” e dolore disperato nella conclusiva “This Letter”.

Itch è un disco che contiene al suo interno un ventaglio di emozioni talmente ampio da risultare pressoché onnicomprensivo, sospeso tra i suoni distesi del post-rock (come nella conclusiva “This Letter” e nel finale di “Inconstant State, Hot Summer”) e l’implacabilità dell’hardcore. I Mammock si sono rivelati al mondo come dei maestri del crimine, sottraendo da mille realtà diverse e con nobili fini le idee più brillanti per poi, grazie a un personalissimo spirito, donare loro una forma inedita e indimenticabile. D’altronde che cos’è il Genio, se non questo?