MARASME – Malsons
Gruppo: | Marasme |
Titolo: | Malsons |
Anno: | 2018 |
Provenienza: | Spagna |
Etichetta: | WOOAAARGH |
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TRACKLIST
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DURATA: | 42:49 |
A prima vista, le Isole Baleari non sembrano esattamente la culla del male sonoro, ma diciamo pure che essere circondati da gente più o meno allegra e fotogenica nei mesi caldi e da non si sa bene cosa nel resto dell’anno possa sortire certi effetti malevoli. In realtà, i Marasme sono attivi nell’underground maiorchino già dal 2008, anche con un paio di album piuttosto marci, ma hanno fatto capolino sul mio radar solo quest’anno con Malsons («incubi», in catalano), pubblicato in vinile da quei mattacchioni della WOOAAARGH.
Inizio subito dicendo che in copertina c’è un meraviglioso lavoro di espressionismo astratto, che sull’ampia e curata superficie in cartone viene fuori in maniera egregia. Mi ha ricordato, pur se con una differente palette di colori, la grafica di un altro signor disco uscito quest’anno (il vortice black metal Eviternity dei Kosmogyr), ma qui siamo musicalmente in territori molto diversi. I Marasme non nascondono di essere dei grandi appassionati di Cult Of Luna e Year Of No Light, eppure il loro sludge galleggia riconoscibilmente sulle acque del Mediterraneo.
Malsons è un disco inaspettatamente abbastanza uniforme in termini di struttura: sei brani, di cui uno solo oltre i dieci minuti di durata (il conclusivo “Ruïnes”), con tutti i testi in catalano. Le pesanti atmosfere sono scandite dalla batteria di Dubi e dal torrido basso di Chús Ponce. Spicca sicuramente il pezzo scelto per il video di lancio, “Malbocí”, con le dolorose e inquietanti immagini messe insieme dai videomaker di From Outer Space. Ascoltando Malsons, è forte la sensazione di trovarsi dispersi in mezzo al mare (o al deserto), con il sole che ci picchia in testa, i riflessi sull’acqua (o sulla sabbia) che ci ipnotizzano; un’atmosfera tratteggiata molto bene dalle chitarre che passano dalle sparute sezioni pulite alle opprimenti piallate distorte. Questa sensazione viene fuori in maniera molto chiara proprio in “Ruïnes”, mentre Jeroni Sancho urla di un paesaggio completamente deserto, presumibilmente distrutto e reso inospitale dalla nostra incuria e dalla nostra ingordigia.
I testi sono sicuramente un altro aspetto molto intrigante del disco: i Marasme hanno ben pensato di includere anche traduzioni in spagnolo e in inglese, per chi non mastica il catalano. Viene descritta un’umanità apparentemente sconfitta, piegata dalla sporcizia del potere, dove le persone sono ridotte a ingranaggi di un infernale incubo che ci porterà alla distruzione. Eppure, nel marasma della rassegnazione, emergono vari tentativi di presa di coscienza, in cui la voce narrante cerca di spingerci al conflitto e a contrastare l’oppressione di questi insistenti Malsons.
Una bella sorpresa nell’ambito del post-metal, genere abbastanza insolito a queste latitudini, con il lavoro di una band che sembra aver trovato la propria cifra stilistica per emergere dall’affollato marasma dello sludge. Potremmo sentir parlare dei Marasme un bel po’, negli anni a venire.
«Aquest món res no et pot donar: res per calmar l’anhel que et provoca el demà.»
(«Questo mondo non può darti nulla: nulla per placare il desiderio del domani.»)