MARTYR LUCIFER – Farewell To Graveland | Aristocrazia Webzine

MARTYR LUCIFER – Farewell To Graveland

 
Gruppo: Martyr Lucifer
Titolo:  Farewell To Graveland
Anno: 2011
Provenienza:   Italia
Etichetta: Buil2Kill Records
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TRACKLIST

  1. Janus
  2. Farewell To Graveland
  3. Turmoil
  4. From Under The Ground
  5. Noctua Munda
  6. Onironauta (The Demon Of The Earth)
  7. L'Albero Ed Io [cover Guccini]
  8. The Dustflower
  9. They Said With Time All Wounds Will Heal
  10. The Horseride
  11. Waiting For The Dawn
DURATA: 56:11
 

Chi vive realmente l'underground nostrano sa che il nome Martyr Lucifer circola da tempo. La sua creatura, gli Hortus Animae adesso in pausa, è una di quelle band che stranamente ha raccolto molto meno di ciò che meritasse. Nel 2011 lo abbiamo ritrovato alle prese con il primo album da solista in un ambito musicale diverso, ma che espone nuovamente la brillante qualità compositiva e il piacere di mettersi in gioco di un artista in cerca di sfogo per la propria arte.

"Farewell To Graveland" è un disco che pur affondando le sue radici nel terreno del gothic e della darkwave ne incarna il vissuto tramite un'esposizione più vitale, tecnicamente ineccepibile e talmente multisfaccettata da ritrovarsi a essere supportata da una gamma d'influenze veramente ampia. Si potrebbero tirare in causa una moltitudine di band e ciò non basterebbe, dato che non rinuncia a excursus in campo progressive settantiano, attimi di pura psichedelia e sonorità intimamente legate al folk cantautorale.

La squadra di musicisti a disposizione è di prim'ordine: oltre a Martyr, leader dietro al microfono sostenuto in un paio di circostanze dagli interventi vocali della cantante ucraina Leìt e da Fabio Caruso degli As Memory Dies in "Turmoil", troviamo al basso Evgeniy "Vrolok” Antonenko (ex Nokturnal Mortum, oggi negli Ygg) che fornisce una prestazione consistente, ordinata, non al di sopra delle righe, tuttavia sempre e comunque efficiente, alla chitarrista Arke, impegnato nel fornire ritmiche varie, dal buon respiro e a disimpegnarsi in soluzioni solistiche abbastanza complesse e poi la botta finale che fa la differenza: due batteristi.

I batteristi sono proprio due e a ciascuno sono stati assegnati cinque brani: si tratta di Grom e Adrian Erlandsson, dei quali non citerò provenienza e band in cui hanno militato, poiché dati i loro lunghi curriculum dovrebbero esservi più che noti. Starà a voi individuare chi sia a mettere su la tirata di doppia cassa, a concentrarsi sui cimbali o a dimenarsi, sfruttando nei momenti inattesi i tom.

A corredo sarebbero potuti mancare sintetizzatori, archi e orpelli vari ad arricchire e adornare la proposta? A quanto pare il reparto si divide fra la natura classica ed emotiva di Bless e quella da costante sperimentatore di Lucifer, con il risultato di avere un impasto eterogeneo che fortunatamente apporta una dimensione propria ai brani.

Spesso quando si tira in ballo la personalità è per lamentarne l'assenza, "Farewell To Graveland" invece non può essere additato per questo motivo, anzi la sua è spiccata e riconoscibile. Martyr ha creato undici pezzi che — a eccezione di un paio di occasioni nelle quali tende a compiacersi un po' troppo, complicandosi la vita soprattutto in fase d'arrangiamento — dimostrano come si possa garantire al passato un presente degno. Prendete le canzoni che seguono il magniloquente intro "Janus": col trio di brani che vede succedersi "Farewell To Graveland", "Turmoil" e "From Under The Ground" pare di essere avvolti dagli anni Ottanta, poi ti si para contro "Noctua Munda" che sembra appartenere con un piede ai Novanta e con l'altro ai giorni nostri, una sorta di ballata il cui animo è corroso da sezioni elettriche, da intromissioni elettroniche e da un'acidità che si fa strada, consegnandoci alla folle "Onironauta". Quest'ultima è perlopiù improntata sull'esaltazione della parte, ma capace di animarsi in maniera repentina e altrettanto velocemente di spegnersi, permettendo al riminese di introdurre la propria voce, accompagnata da languidi fraseggi di stampo settantiano.

I due rovesci di una medaglia che non dovrebbero mai incontrarsi si incrociano e ne scaturisce l'ennesima ripartenza in velocità: la batteria è imperterrita, per non dire furioso. Quale sarà il prossimo livello? A cosa ci condurrà tanto ardore? Si rimane di stucco quando al posto di un pezzo di sostanza è il tocco di classe a colpirti di netto: la cover de "L'Albero Ed Io" del Guccini di "Due Anni Dopo" (1970) coglie alla sprovvista. L'interpretazione della voce carica di effetti e lievemente grezza di Martyr e quella delicata di Leìt sollevano uno strato melancolico sublime, un angolo nel quale la natura ti accoglie e le spoglie andate hanno occasione di riascoltare il proprio battito cardiaco.

Con "Dustflower", per quanto non sia riuscito del tutto a inquadrare gli artisti, le parti atmosferiche dei sintetizzatori mi hanno ricordato la scena dance che irrompeva prepotente sul finire degli anni Ottanta e i primissimi Novanta. Parlo di musica ben lontana dallo stile da truzzo, i suoni cupi erano particolarmente in voga in quel periodo, mentre con "They Said With Time All Wounds Will Heal" è il ritornello a fare breccia nella mia testa, portando alla ribalta la realtà nuda e cruda:

They said with time all wounds will heal
Let's wait and see. I'm sure they will
They said with time all wounds will heal
I'm sure they will, with you they will
They said with time all wounds will heal
Come take my hand, make me still feel
They said with time all wounds will heal
The hope for nothing gone, you made it real

"Farewell To Graveland" è quasi al suo termine, si fa avanti "The Horseride", la composizione più estesa del lotto con i suoi dieci minuti che scivolano via in maniera agevole. Il suo alternare fraseggi sommessamente vivaci ad ariose aperture di pianoforte la rende particolarmente fruibile.

Sono circa le tre di notte e sto ancora scrivendo, sono giunto alla fine con "Waiting For The Dawn", che data l'ora e un po' di sonno accumulato, mi son divertito a immaginarle come una via di mezzo fra la doorsiana "Waiting For The Sun" e il pezzo dei The 69eyes "Wasting The Dawn". Probabilmente è colpa della stanchezza e la compagnia dai toni agrodolci mi dice che è ora di porre la fine, in un crescendo emotivo nel quale traspare una luce, seppur in lontananza, .

Il testo vi sembra lungo? L'ho scritto e riscritto non so quante volte, e a ogni passaggio del lavoro una situazione diversa mi rimandava a qualcosa finito nel dimenticatoio chissà per quale motivo. Come avrete notato si sono aperti talmente tanti cassetti della memoria che attendo ancora di ricevere in toto le risposte che cerco. Per questo e per mille altri valori positivi innescati dall'incontro con il disco di Martyr Lucifer, che comunque si può dire abbia lavorato per buona parte in famiglia (avrete notato la presenza di membri ed ex degli Hortus Animae), "Farewell To Graveland" continuerà sicuramente a girare nello stereo per un tempo indeterminato. Non è facile, non è immediato, desidera entrare a far parte dei vostri ascolti, è una sfida e l'album attende solo che la raccogliate.