MASTER BOOT RECORD – Personal Computer
Qualche tempo fa, Master Boot Record aveva già fatto la sua comparsa su Aristocrazia Webzine nella rubrica Pillole Di Male, in occasione dell’uscita di VIRTUAVERSE.OST. Personal Computer, apparso a maggio di quest’anno, rappresenta un ottimo pretesto per tornare a parlare del progetto fondato nel 2016 da Victor Love, nome che qualcuno assocerà a band come Dope Stars Inc. e My Sixth Shadow.
Nell’approcciarmi a Personal Computer, ho capito due cose: la prima è che la mia conoscenza dei meandri dell’informatica rasenterebbe tranquillamente uno qualsiasi degli strati più profondi della crosta terrestre; la seconda è che quando ci si imbatte in un disco apprezzabile come questo, anche una tecno-analfabeta come me può essere animata dal desiderio di decifrarne gli enigmi cibernetici creati da Master Boot Record.
La prima incognita è costituita dalla descrizione che accompagna Personal Computer sui social: è infatti scritta in ASCII (un codice internazionale usato in ambito informatico per la codifica dei caratteri). Una volta decifrata, sembra trasmettere l’indizio che l’album verta su un viaggio nel passato, presumibilmente verso un’epoca dove proprio questi codici erano considerati un linguaggio innovativo per scambiarsi informazioni senza il timore di essere scoperti. Scorrendo i titoli dei brani, questo riferimento a tempi che furono diventa più evidente: si tratta di sequenze numeriche riferite ognuna a un modello di processore Intel, disposte in ordine cronologico, in un arco di tempo che copre la fine degli anni Settanta, arrivando ai primi anni Novanta.
Già da questi due elementi, si comprende come Master Boot Record tributi una grande cura ai dettagli. Se questo è evidente dal punto di vista formale, lo diventa ancora di più ascoltando Personal Computer e immergendosi nel suo mondo completamente sintetico, all’interno del quale melodie potenti si mescolano con ritmi tirati e danno vita a un movimento continuo, che non scade mai nel monotono e, in certi punti, prende anzi un sapore quasi tragico. Il risultato finale potrebbe essere una colonna sonora papabile per un film ambientato in un futuro apocalittico dove umani e macchine si fronteggiano per la sopravvivenza, salvo poi arrivare alla conclusione che nessuno dei due può veramente rinunciare all’altro se spera di non arrivare alla distruzione completa del mondo.
D’altronde, la tecnologia — e la musica — potranno sì evolvere costantemente, ma serve comunque quel tocco umano che doni un’anima a quello che viene realizzato; Personal Computer sarà anche un album del tutto sintetico, ma è impossibile non cogliere come al suo interno ci sia anche un cuore che pulsa a ritmo di chiptune e doppio pedale.