MESA – Collapse
Dall’assolata California, giunge un lamento di desolazione dal sapore doom metal, con forti accenti progressive e post-metal. Si tratta di Collapse, il disco d’esordio dei Mesa, duo al debutto su lunga distanza dopo alcune uscite minori; particolarmente interessante l’ultimo EP Glow del 2018, che consiglio di recuperare. Dietro questa creatura si celano i polistrumentisti Adam Heller e Marie McAuliffe, quest’ultima anche nei Putrescine, band death metal statunitense promettente e in ascesa.
Vale la pena parlare di Collapse perché non è il classico disco doom. Ci sono tanti elementi interessanti, a partire dalle influenze per nulla banali. L’alternanza di parti doom metal e brevi sfuriate in blast beat riporta infatti alla mente i mai abbastanza celebrati Disembowelment, tra i pionieri del death-doom metal. Inoltre il duo mostra un gusto marcato per gli accenni progressive, cosa che possiamo già rilevare nell’utilizzo di sintetizzatori e piano (a cura di Heller), che ricorda certi passaggi dei Kayo Dot e dei Maudlin Of The Well. I brani scorrono come tele sapientemente intessute, dove i Mesa dimostrano di cercare sempre nuovi sviluppi per la forma canzone, anche avvalendosi di tastiere in midi, scelta invero singolare ma che si dimostra azzeccata e mai fuori luogo. Per circa 37 minuti ascolterete strutture puramente progressive, adagiate su un corpo doom metal, con accenni di post-metal che sembrano lasciar presagire quasi un senso di speranza, destinato a ricadere negli abissi.
Il gruppo è molto bravo nel creare atmosfere che si aprono per poi richiudersi, come se volesse generare un’alternanza di luce e buio sfruttando una scomposizione della forma canzone. La ricchezza della strumentazione utilizzata, poi, fa il resto: ed è per questo che l’inserimento delle tastiere midi è perfettamente sensato, perché dà colore e spessore alla nutrita tavolozza sonora alla quale i Mesa attingono. Ad aiutare Collapse a spiccare, però, sono anche i testi e l’artwork: i primi, ben scritti e fortemente evocativi, hanno lo stampo del death-doom più soffocante e disperato, ma anche una scelta di immagini e locuzioni piuttosto originale («I dreamed the silence», il verso che apre “A Stone Bridge Of Folly”, è una metafora di sicuro impatto). La copertina, invece, a cura del giovane e promettente Carlos Agraz, ha una bella alternanza di colori, con la figura semi-astratta centrale a rubare la scena.
Collapse, insomma, è un album con tanti piccoli dettagli che man mano saltano all’occhio e lo impreziosiscono. Decisamente una bella prova, per un modo fresco e originale di rileggere il doom metal secondo le proprie caratteristiche.