MONKEY RANCH – Alone
Se non sapessi che i Monkey Ranch hanno iniziato a muovere i primi passi nel 2012, penserei proprio che questi nostri connazionali provengano da quel di Seattle nel periodo d'oro del grunge. Il quartetto pistoiese suona letteralmente a stelle e strisce e "Alone" ha quel sapore malinconico, accattivante e vario del quale il mondo musicale della città piovosa ci ha spesso fatto dono.
Alice In Chains, Soundgarden e Pearl Jam sono la base sulla quale si muovono i tre quarti d'ora di un disco che oscilla tra territori settantiani e blueseggianti e la scena post-grunge, psichedelica e con accenni di suono desertico e country: è il caso dei brani "Butcher", "Danny Boy", "Freedom", "Unhappy Stories" e "Dance Of The Witch", all'interno dei quali è impossibile non riconoscere il peso delle influenze e degli ascolti maturati nel corso degli anni dalla band e in cui le reminiscenze di un passato dal punk più imponente ("Picture Of You") si fanno sentire energicamente. Il tutto è, però, contraddistinto da una certa abilità nell'impastare e tracciare un modello rock magari non personalizzato più di tanto, ma in grado di far trapelare la passione che ne guida le gesta dal primo all'ultimo secondo.
"Alone" è nostalgicamente bello e i Monkey Ranch (il nome della band non sa tanto di Foo Fighters: Monkey Ranch, Monkey Wrench? Solo una congettura?) portano alla mente i pomeriggi trascorsi a copiare e scambiare TDK, Basf e Maxell, cassette colme di materiale che dava l'occasione di scoprire ogni giorno un pezzo di quel fantastico panorama di artisti che fanno parte di ciò che adoro ascoltare. A quanto pare il mio stereo si è fatto un nuovo amico. Che sia lo stesso per molti di voi? Ve lo auguro.