Monolithe - Kosmodrom | Aristocrazia Webzine

MONOLITHE – Kosmodrom

Gruppo: Monolithe
Titolo: Kosmodrom
Anno: 2022
Provenienza: Francia
Etichetta: Autoprodotto
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TRACKLIST

  1. Sputnik-1
  2. Voskhod
  3. Kudryavka
  4. Soyuz
  5. Kosmonavt
DURATA: 01:07:00

I Monolithe non sono estranei a dischi o brani di lunga durata, per cui i sessantasette minuti del loro ultimo album non sorprendono più di tanto. Al massimo scoraggiano, quello sì: è risaputo che escono giornalmente decine di dischi interessanti dei generi più diversi e dedicare più di un’ora del proprio tempo a una sola opera deve necessariamente essere un’azione ponderata e consapevole. Personalmente mi sono accostata all’autoprodotto Kosmodrom ben conscia del fatto che sarebbe stato un lavoro denso e pieno, da ascoltare con attenzione. Sebbene non possa dire di essermi sbagliata, la leggerezza e la totale assenza di sforzo con cui i cinque brani del disco se ne scendono giù è stata una sorpresa. Ci sono volte in cui arrivare alla fine di un album è un’impresa titanica, ma non è questo il caso.

Faccio le cose come si deve e comincio dalle presentazioni, perché magari i francesi Monolithe non ne hanno particolare bisogno, Kosmodrom invece sì. Si continua sulla scia di storie e racconti legati all’universo, ma stavolta in qualche modo restiamo anche sulla Terra, senza scomodare tematiche di vita aliena. Un kosmodrom (космодром in russo) è nient’altro che uno spazioporto, ovvero un luogo adibito al lancio di vettori missilistici a scopo militare oppure scientifico. La precisazione sul lemma in russo è necessaria per due motivi: il primo è che la parola cosmodromo è utilizzata in particolar modo in riferimento a siti di lancio esclusivamente sovietici, come quello di Baikonur in Kazakistan e Plesetsk in Russia (in effetti, i sovietici parevano preferire anche il termine cosmonauta ad astronauta); il secondo è che i Monolithe esplorano, in questo colosso sonoro di oltre un’ora, eventi e viaggi spaziali compiuti proprio dall’Unione Sovietica. Basta in effetti dare un’occhiata ai titoli per riconoscere elementi forse noti: lo Sputnik (Спутник, compagno di viaggio) è stato il primo satellite artificiale a essere spedito in orbita intorno alla Terra nel 1957;  Voskhod (Восход, alba) è il nome del programma di esplorazione spaziale iniziato nel 1961 che per primo prevedeva la presenza di passeggeri umani a bordo; Soyuz (Союз, unione), che potresti aver sentito nominare poiché ancora attuale, si riferisce a una serie di velivoli spaziali successivi a quelli della serie Voskhod, e dal 2011 sono gli unici a trasportare gli astronauti sulla ISS.

L’esplorazione spaziale ha aperto un capitolo nuovo, sconosciuto, emozionante e inquietante nella storia dell’umanità: non c’è da stupirsi perciò che un argomento del genere debba necessariamente essere trattato con la giusta importanza e attenzione. I Monolithe lo fanno nel modo che è loro più congeniale, usando un doom melodico con tinte death, date dal cantato distorto di Rémi Brochard, insieme a striature più cosmiche ottenute con i synth. Le storie raccontate in Kosmodrom parlano di speranza e progresso ma anche di puro terrore, sacrificio e morte.

“Sputnik-1” è probabilmente il brano in cui la componente melodica si sente più che altrove, soprattutto grazie alla collaborazione della voce femminile London Lawhon e del tappeto di tastiere e bassi che accompagna l’intero pezzo, in cui passato e presente convergono: vengono infatti raccontate le aspettative riposte nel lancio del primo satellite e, allo stesso tempo, si onorano coloro che per primi si sono prestati all’esplorazione spaziale, spianando la strada ai successori. Anche “Voskhod” si concentra su una tematica prettamente positiva, raccontandoci del leggendario Yuri Gagarin che nel 1961 effettuò un giro completo intorno alla Terra a bordo, per l’appunto, della capsula Vostok 1: fu il primo essere umano a essere spedito nell’infinita oscurità spaziale, spalancando un universo di nuove possibilità a scienziati e militari; le tastiere e i bassi riescono a tradurre in modo molto efficace lo stato di ansia verosimilmente provato da Gagarin in fase di volo.

Senza sacrificio non si può ottenere nulla, dicono. Vale anche se vengono sacrificati altri? Gagarin è stato certamente il primo essere umano a orbitare intorno al nostro Pianeta, ma non il primo essere vivente. Prima di lui c’è stata proprio “Kudryavka” (ricciolina) conosciuta anche come Laika. Laika non scelse di essere imbarcata sulla Sputnik 2, dove sembra che trovò la morte a causa di un surriscaldamento imprevisto poche ore dopo il lancio: ci fu spedita da qualcuno che prese questa decisione per lei. La capsula non era comunque costruita in modo da poter rientrare sulla Terra intatta: era previsto che si disintegrasse a contatto con l’atmosfera, cosa che puntualmente avvenne. Laika non sarebbe comunque mai potuta sopravvivere. La vicenda della cagnolina è sicuramente aperta al dibattito, la band stessa la descrive come «Great, immoral, remarkable, despicable / Wrong, essential, criminal, phenomenal»; io mi limito a constatare che nel terzo brano di Kosmosdrom i Monolithe offrono a Kudryavka un tributo struggente, dai toni funeral doom, con l’ottimo contributo di Jari Lindholm alla chitarra solista; il brano poi si chiude con malinconiche e appropriatissime note.

Le medesime tinte tragiche traspaiono in “Soyuz”, che oltre a designare una serie di velivoli adibiti all’esplorazione spaziale è anche il nome della missione alla quale furono assegnati il citato Gagarin, Aleksej Leonov e il capitano Vladimir Komarov, che venne spedito nello spazio per primo. Era previsto il regolare rientro di Komarov sulla Terra, ma fu necessario anticiparlo a causa di avarie di diversa natura. Komarov riuscì con successo a dirigersi verso la Terra, tuttavia un’ulteriore malfunzionamento impedì la corretta apertura del paracadute frenante della navicella, che si schiantò inevitabilmente al suolo. I Monolithe descrivono il tutto con «a metal coffin falls from the sky», sette parole pregne di disperazione e trasudanti impotenza nei confronti di un destino che non è stato possibile cambiare. “Soyuz”, come il brano precedente, ha la forma di un’elogio funebre scandito da ritmi lenti e pesanti inframmezzati da tastiere che quasi simulano segnali acustici di allarme, e Komarov viene descritto come un «cannon fodder», termine usato per definire i soldati o i combattenti che vengono ritenuti dal governo come sacrificabili. Anche qui si percepisce una leggera critica nei confronti della vicenda.

“Kosmonavt” chiude questo lavoro mastodontico, brano gigantesco di ventisei minuti spaccati di durata. Il cosmonauta di cui si parla non è nessuno in particolare, semplicemente riguarda i generici pionieri dell’universo, «prophet beyond the frontiers» e «unsung heroes» che portarono la sete di conoscenza dell’Uomo sempre più in là, spostando di volta in volta l’asticella del sapere più avanti. L’esplorazione dello spazio è in continuo divenire e, anche grazie ai personaggi raccontati dai Monolithe nei brani precedenti, è in fase di continuo perfezionamento. Quello che percepisco dal testo e dalle atmosfere, a tratti perfino synthwave o da colonna sonora di qualche film sci-fi non troppo recente, è profonda ammirazione mista a critica nei confronti dell’avidità del genere umano, che non lascia in pace nemmeno lo spazio. Dove finisce il desiderio genuino di conoscenza e dove comincia quello di gretta conquista? “Kosmonavt”, e con lui Kosmodrom, termina emblematicamente sulle note di “Katiuscia” (Катюша), brano del 1938 di Matvej Blanter con testo di Michail Isakovskij che parla delle sofferenze di una ragazza, in pensiero per il suo amato combattente al fronte dell’ultimo conflitto mondiale.

Alla luce del colossale contenuto di Kosmodrom era inevitabile che il disco avesse una durata cospicua, ma come dicevo va benissimo così. Morte e dolore, ma anche progresso, esultanza, ambizione e scienza si incontrano e scontrano di continuo in un lavoro che, in fin dei conti, non fa che rappresentare la natura stessa della vita umana, con le sue luci e le sue ombre. Poco più di un’ora di melodic doom con elementi progressivi e funeral per un argomento su cui  sembra proprio che i Monolithe abbiano tanto da dire, cercando pur sempre di rimanere imparziali e narrando le mille sfaccettature di quello che è l’avanzamento tecnologico, tuttora minuscolo nei confronti della vastità dell’universo che ancora non conosciamo. Storie di viaggi, di personaggi realmente esistiti e di personaggi che ancora devono arrivare: Kosmodrom è un eccellente concept di speranza e meraviglia, macchiato di sangue e lacrime.