MOTHERSHIP – High Strangeness
Spesso ci si lamenta che un genere tenda a ritrovarsi inondato di uscite di qualità standard o — per usare un termine tanto caro a molti saccenti — nella media, una volta trovata una via di sbocco capace di amplificarne la portata di pubblico. Ebbene l'ultima opera dei Mothership rientra proprio in quella media disprezzata, tuttavia in ambito di sonorità stoner l'asticella per accedervi si è alzata e una prova appena sufficiente non basta più neanche per entrare a far parte di tale categoria.
Posso tranquillamente affermare che "High Strangeness", il terzo lavoro dei Texani, è piacevole dall'inizio alla fine. I poco più di trentatré minuti offerti dal trio formato da Kyle Juett (basso e voce), Kells Juett (chitarra e voce) e Judge Smith (batteria) viaggiano comodamente su binari compositivi collaudati e consolidati da decadi, con le influenze classiche dei maestri Black Sabbath e di mostri altrettanto sacri come ZZ-Top, Mountain e Thin Lizzy che si vanno a incrociare a quelle di band più odierne e amatissime del calibro di Orange Goblin e Spiritual Beggars, palesandosi durante il giro nel lettore in maniera costante e assai gradita.
I brani snocciolano riff mai troppo complessi dall'impatto sicuro, l'atmosfera è quella giusta e le doverose dosi di suono fuzz non mancano. Nella ricetta dei Mothership non si percepisce la presenza di vere e proprie pecche, a meno che non si voglia considerate tale l'inevitabile confronto con ciò che c'è già stato. Mettendo da parte questo tipo di giudizio da dito sempre puntato contro chiunque suoni qualsiasi cosa, si ha infatti la possibilità di godere di singole canzoni pregevoli quali "Ride The Sun", "Crown Of Lies", la strumentale "Eternal Trip" e "Speed Dealer", così come di una scaletta che — grazie anche alla durata di per sé contenuta — non contiene pezzi da evitare.
I Mothership servono su di un piatto di argento ben lucido mezzora di ottima compagnia e non credo che per un patito di queste sonorità vi siano problemi nel conceder loro modo e tempo di farsi spazio negli ascolti, dato che — checché se ne dica — non se ne ha mai abbastanza di dischi simili.