MUSTAN KUUN LAPSET – Kruunu
Alla città di Lahti non bastava essere nominata capitale europea green per l’anno 2021, ha deciso di far parlare di sé anche per mezzo di un nuovo lavoro targato Mustan Kuun Lapset. Nuovo si fa per dire, visto che questa piccola gemma di una corona denominata, per l’appunto, Kruunu mescola elementi del passato con brani inediti, oltre a essere la prima opera del quartetto finlandese in cui figurano anche ospiti internazionali, oltre che locali.
Kruunu è un disco interamente acustico, per cui come c’era da aspettarsi non manca un tipo di strumentazione meno convenzionale, in cui figurano ukulele (Harri Pelkonen), shaman drum e jouhikko (Tero Kalliomäki), tin whistle e corno francese (Sami Heinonen). Dicevamo che non si tratta di un disco totalmente nuovo e infatti cinque dei dieci brani sono versioni riarrangiate tratte da album precedenti, alle quali i Figli della Luna Nera regalano una veste più profonda, viscerale e carica di folklore. Per l’occasione Pete Lehtinen cede la veste di cantante e si dedica solo alle chitarre e alle tastiere, lasciando che delle parti vocali si occupino gli ospiti Jouni Naumi, Jani Räimö, Mark Kelson e Perttu Koho ai cori, affiancati dalla controparte femminile incarnata da Jenny Malmberg, che ascoltiamo in “Ikaros” e “Aaria”, da solista.
Per tutta la durata di Kruunu sembra di stare seduti su un masso a occhi chiusi, ascoltando il malinconico gorgogliare di un ruscello perso tra gli alberi. Le voci, gli strumenti, la delicatezza con cui i Mustan Kuun Lapset ci parlano di morte, angeli morenti, cicatrici che si rimarginano e del dolore che inevitabilmente si accompagna alla vita sono un dolce abbraccio che calma, avvolge e ci ricorda che comunque tutto questo serve a qualcosa e che anche nella sofferenza può esserci eterea bellezza. Le versioni acustiche di “Saatto”, “Kuolemanvirta”, “Aaria”, “Ikaros” e “Peikonmieli” diventano un tutt’uno con gli inediti, dando vita a un disco che riesce a suonare totalmente a sé stante nonostante soltanto cinque brani su dieci siano stati scritti appositamente per l’occasione.
Com’è prevedibile la lingua predominante è il finlandese, con l’unica eccezione di “The Dream About A Dying Angel”, in cui l’elemento folkloristico è se possibile ancora più forte, e alcuni piccolissimi accenni in spagnolo in “La Última Playa Del Corazón”. Là per là lo spagnolo mi sembrava una scelta parecchio azzardata, che si riempie però di senso ascoltando gli elementi flamenco che dominano un brano in cui i bpm aumentano e la precedente delicatezza lascia il posto a una botta di energia che chiude Kruunu, così come la leggiadria e la solennità del violino di Caroline Salmona ne avevano tessuto l’intro.
A chi pensa che non ci sia davvero bisogno di reissue di brani già pubblicati rispondo che avremmo bisogno di più dischi come Kruunu.