NANOWAR OF STEEL – Italian Folk Metal
Nella prima metà dei 2000 i romani Nanowar Of Steel erano solo un gruppo di ragazzetti che si dilettava a recitare la parodia dei Manowar, una goliardata spesso demenziale, in grado di strappare sorrisi anche con le rivisitazioni di alcuni classici del metal. Da allora il mondo (metallico ma non solo) è cambiato completamente e il quintetto ha vissuto una crescita lenta ma costante, quasi inesorabile, sia dal punto di vista compositivo che da quello tecnico e della popolarità, conquistata a suon di tormentoni esilaranti e collaborazioni azzeccate, diventando anche una macchina da guerra sul fronte dei social e del marketing.
Questa ascesa ha attirato l’attenzione oltreconfine addirittura dell’austriaca Napalm Records, etichetta che non fa mistero del suo amore per il kitsch e il tamarro, basti pensare ad alcuni dei suoi gruppi (presenti e passati) come Belphegor, Ex Deo, Gloryhammer (non a caso Angus McFife è stato ospite dei Nanoguerrieri su “Valhalleluja”) e Korpiklaani. Dopo aver stampato alcuni singoli e una riedizione in vinile del precedente ottimo Starway To Valhalla, eccola supportare Italian Folk Metal, il quinto album di Gatto Panceri 666 e soci.
Le mie aspettative erano piuttosto alte alla vigilia del 2 luglio, seguendo e apprezzando i Nanowar sin dagli albori. Da un lato singoloni quali “Norwegian Reggaeton” e “Valhalleluja” avevano dimostrato lo stato di forma spaziale del gruppo anche al di fuori del circolo dei fan storici. Dall’altro la recente svolta extra metal (fortunatamente molto breve) di “Formia” e “Biancodolce” impediva ogni previsione sulla direzione musicale del nuovo disco. Nel mezzo un titolo non proprio originale e invitante come Italian Folk Metal. È bastato però un singolo ascolto per far svanire ogni minimo dubbio…
Mufloni, lanciagranate e cedrata Tassoni
Il nuovo capitolo targato Nanowar Of Steel omaggia la tradizione musicale della Penisola, come rivelato dallo stesso gruppo nelle note dell’opera, e racconta passioni, vizi e difetti dell’italiano medio col solito tono scanzonato e irriverente, in bilico fra presa in giro e sentito ossequio. Il titolo del disco si rifà insomma alla fusione fra le sonorità dure del metal e quelle popolari che si ritrovano sparse lungo lo Stivale. Come fosse un Giro d’Italia, si fa tappa infatti nella Sardegna dei tenores, nella Romagna del liscio reso celebre da Raoul Casadei (molto bravo Alessandro Conti dei Trick Or Treat alla voce nel seguire la metrica del pezzo), nella sempre trendy Puglia con la sua pizzica e si finisce pure a Napoli, patria del neomelodico ma qui sorprendentemente gemellata con Milano e la sua bela Madunina/Maradona.
Questo viaggio tuttavia non è solo geografico, perché ci porta anche indietro nel tempo, precisamente al Ventennio, con la marcetta militare propagandistica de “La Marcia Su Piazza Grande” che si fa beffe dei nostalgici, smontandone la triste retorica. E poi abbraccia alcune grandi passioni trasversali come il tifo calcistico, con il bel campionario di cori da ultras della curva de “Il Signore Degli Anelli Dello Stadio”: esilarante il «Bilbo Baggins carabiniere!» ritmato con le mani. Oppure i cartoni animati giapponesi, con la sigla dell’antieroe “Gabonzo Robot”, i cui turbomissili comprati alla Coop hanno come bersaglio indifesi bambini, canili e chiese, per un brano che non sfigurerebbe nella scaletta di Re-Animated dei Trick Or Treat. Non manca nemmeno un rimando alla svolta pop precedentemente citata e alla stucchevole musica leggera italiana, tutta sole-cuore-amore e che tutti ascoltano casualmente per radio ma nessuno ammette di amare sul serio (“Rosario). A bilanciare queste tematiche frivole ci pensa invece “Sulle Aliquote Della Libertà”, elogio dell’evasione fiscale e di ogni genere di sotterfugio contabile.
Analizzando il lato metallico dell’album, colpisce la ricchezza de “L’Assedio Di Porto Cervo”. Dopo l’intro sinfonica di scuola Rhapsody dedicata al compianto Gigi Sabani, si viene travolti dal ruggito di Francesco Paoli dei Fleshgod Apocalypse, abbinato a un altrettanto inedito tappeto di blast beat di Uinona Raider. Death metal, Ensiferum e Rhapsody si alternano in un brano che si permette anche di citare “Geordie” di Fabrizio De André… o Gabry Ponte, fate voi; unico neo il fatto che il growl rende incomprensibili le parole senza il testo sott’occhio. A seguire con “La Maledizione Di Capitan Findus” salpiamo invece al largo dell’oceano insieme agli Alestorm, canticchiando birra in mano un ritornello semplice ma vincente, che non tarderà a riscuotere successo dal vivo; da segnalare anche la pregevole cesellatura chitarristica del sempre bravo Mohammed Abdul.
Ogni singolo brano è cantato da Mr. Baffo e Potowotominimak in italiano (con l’aggiunta di ospiti e dialetti) e si articola come una piccola storiella dalla risata garantita, fra giochi di parole, citazioni e gag a getto continuo, con protagonisti una marea di vip come il perfido Lord Briathor e le sue armate, il duce e re Giancarlo Magalli e lo stesso Capitan Findus in lotta per il dominio dei mari contro Azdomar. Non manca però nemmeno l’uomo comune della strada fra i personaggi di Italian Folk Metal: uno sfortunato umarell viene raggirato dalla sua badante; un paesano partenopeo non sopporta più lo screanzato drago che disturba il vicinato col suo motorino truccato; un venditore ambulante di rose diventa un novello Eros. Tutti questi eroi più o meno celebri sono stati riportati sulla coloratissima copertina in stile cartoon e potrete mettervi alla prova a cercarli uno per uno; operazione molto semplice se come il sottoscritto avrete in mano la versione in vinile dell’album, che contiene come bonus la versione tedesca de “La Maledizione Di Capitan Findus” e quella spagnola de “La Mazurka Del Vecchio Che Guarda I Cantieri”; pezzi superflui per il pubblico italiano ma utili per tradurre l’umorismo del gruppo ai fan internazionali.
Fra i momenti migliori va segnalata certamente “La Polenta Taragnarock”, inno folk metal concepito inizialmente col prezioso aiuto dei fan durante una diretta social in tempi di lockdown, e impreziosito dall’intervento del padrino Giorgio Mastrota in veste di presentatore, cantante e attore vichingo, come testimoniato anche dal video realizzato in quel di Bormio, dove vive il maestro delle televendite. Ma la forza di Italian Folk Metal è che non ha punti deboli, è altamente professionale e ricco di contenuti, inoltre ogni suo tassello possiede il giusto bilanciamento di metallo, orecchiabilità e divertimento. Per farla breve, è la dimostrazione che i Nanowar Of Steel fanno tremendamente sul serio nella loro parodia e si confermano i numeri uno nel filone del metal umoristico italiano.