NERO DI MARTE – Immoto
Che i Nero Di Marte fossero una formazione da tenere sotto stretta osservazione si era scoperto in tempi non sospetti, già all’epoca dell’omonimo debutto datato 2013. La gestazione del terzo lavoro Immoto è stata travagliata: cinque lunghi anni che hanno visto anche un cambio dietro le pelli, con l’arrivo di Giulio Galati (Hideous Divinity) al posto di Marco Bolognini, ma durante i quali il quartetto bolognese è riuscito anche a togliersi qualche sfizio (ad esempio il tour europeo con i seminali Gorguts). Tutto ciò culmina in un netto passo in avanti a livello di collaborazioni, con il passaggio da Prosthetic alla francese Season Of Mist, da sempre etichetta di primo piano nell’ambito metal estremo più o meno canonico.
Prendendo in prestito il pensiero hegeliano, risulta quasi naturale inquadrare i tre lavori dei Nero Di Marte: Convergence, fulmine a ciel sereno, caotico e ancora un po’ derivativo, è la tesi; l’immediato successore Derivae è l’antitesi, che prende completamente le distanze dal predecessore, mostrando una grande maturità e limitando molto i tecnicismi e la componente death; Immoto è la sintesi, l’anello di congiunzione che mette d’accordo tutti e racchiude il meglio dei due approcci precedenti.
La forza di questo lavoro sta nella perizia con cui i Nostri maneggiano la sostanza densa e nera come la pece di cui è composto e nella decisa personalità mostrata; questa, più che nei momenti pestati, viene fuori brillantemente durante le fasi dai confini meno delineati, che alla fine rappresentano la vera essenza di Immoto. Fatta eccezione per “Sisyphos” e “La Fuga” (poste in apertura e chiusura), i brani sono un continuo mutare, in cui dissonanze accennate e strutture intricate appesantiscono i momenti in cui tutto sembra più docile, alternandosi alle violente sferzate strumentali che ci ricordano le radici del gruppo ma in veste ragionata e soprattutto coerente con il il resto.
Inutile soffermarsi su brani specifici per via di una qualità costantemente elevata, così come sul lato esecutivo degli stessi, assolutamente inappuntabile. Vale la pena invece spendere due parole per Sean Worrell, la cui voce espressiva si muove lungo i testi (criptici e prettamente in italiano) tra sussurri e urla cariche di rabbia e angoscia. Un’altra osservazione che sento di fare è per il nuovo arrivato dietro le pelli, di cui sono coetaneo e umile collega. Già il primissimo ascolto di Convergence ha catturato la mia attenzione per il ruolo predominante della batteria all’interno del gruppo: le qualità di Galati non sono certo una novità, tuttavia questa continuità con i lavori passati è un fattore di rilievo in un disco come Immoto e non proprio scontato vista la proposta degli Hideous Divinity, certamente molto tecnica ma anche più quadrata.
La qualità dei primi due lavori, intervallati dallo split con gli altrettanto bravi Void Of Sleep, ha generato grandi aspettative per il loro successore, e in certi momenti ammetto di essermi quasi dimenticato dell’esistenza dei Nero Di Marte vista la lunghissima attesa. Non posso quindi che essere felice per questo grande ritorno nostrano, per di più con il miglior disco della loro carriera.