NETRA – Ingrats
Negli ultimi tempi mi è capitato spesso di chiedermi cosa stesse combinando il caro Netra: dopo essere stato colpito dal suo "Sørbyen", ero curioso di vedere come si sarebbe evoluto. Finalmente, dopo cinque anni di attesa, arriva questo "Ingrats" a rispondere alle mie domande.
Partiamo subito affermando che la «mélancolie urbaine» che da sempre contraddistingue la musica del progetto risuona più che mai in questo disco, come testimoniato dal lavoro grafico completamente in bianco e nero raffigurante scenari cittadini notturni; lampioni e grattacieli in lontananza sono le uniche fonti di luce di questi paesaggi, mentre il cielo non lascia intravedere nemmeno una stella, presentandosi completamente buio.
Musicalmente possiamo notare fin da subito notevoli passi in avanti in termini di produzione: meno grezza rispetto al passato, pur mantenendo la capacità di rendersi caotica quando necessario e con una maggiore enfasi sui bassi che rende l'ascolto più intenso sia nei passaggi spinti che in quelli introspettivi. Questa è, però, solamente la ciliegina sulla torta, poiché i miglioramenti più interessanti sono quelli che riguardano le scelte compositive: il particolare mix di Black Metal e Trip-Hop suona più congegnato. I due generi dialogano in maniera più elaborata e su diversi livelli, andando a creare un sound in cui è ancora possibile distinguerli, pur essendo imprescindibili l'uno dall'altro; a essi vanno aggiunte influenze esterne che appaiono rilevanti tanto quanto la base portante.
Il modo più semplice per comprendere "Ingrats" è ascoltare la conclusiva "Jusqu'Au-Boutiste", un ottimo riassunto dell'album: un pianoforte di stampo Jazz si trasforma con naturalezza in un riff in tremolo, portando di conseguenza il «walking bass» iniziale a fare da supporto ritmico insieme alla doppia cassa e al blast beat. Le due facce della medaglia si alternano, finché il pianoforte decide di rendersi più inquietante, portando all'introduzione degli archi che danno modo all'anima Trip-Hop di venir fuori, grazie alla batteria elettronica; l'intervento del sintetizzatore dai suoni elettronici conduce poi a un finale in cui il Black Metal ritorna a fare da sfondo alle melodie sintetiche.
Se tutto questo è presente solo in un brano di sei minuti, potete facilmente immaginare quanto possa essere interessante il resto del disco: gli elementi appena citati vengono presi e sfruttati in varie modalità e il risultato è un lavoro altamente eterogeneo, ma che vive sempre della stessa «mélancolie urbaine» che riesce a unire i vari pezzi del puzzle.
Troveremo, quindi, una traccia quasi totalmente Black Metal come l'impetuosa, malinconica e alienante "Everything's Fine" alternarsi ad altre prevalentemente Trip-Hop quali "Underneath My Words, The Ruins Of Yours". L'alta attenzione per il fattore elettronico si palesa in diverse forme, che vanno dalle atmosfere buie e piovose di "Paris Or Me" alla possente cassa in 4/4 sul finale di "Live With It" e in "A Genuinely Benevolent Man", passando per i sintetizzatori che spesso supportano sia l'aspetto melodico che quello ritmico, senza dimenticare nemmeno gli ottimi beat presenti nelle fasi ispirate al Trip-Hop. "Don't Keep Me Waiting" suona come una sorta di Black-Doom nichilista dalle tendenze Jazz ed elettroniche, con tanto di sassofono a fare una gradevole comparsata; "Could've, Should've, Would've" porta alla mente i nomi di Depeche Mode e Dead Can Dance e, in generale, il mondo Darkwave-Synth Pop. Talvolta, Netra ci delizia con assoli dai toni spesso blueseggianti. Se non dovesse essere abbastanza, tutto questo viene introdotto dal minuto e venti di Lounge-Jazz non troppo cupo di "Gimme A Break", quasi a prendere in giro l'ascoltatore ignaro di cosa andrà a incontrare.
Nonostante i momenti strumentali occupino una buona porzione dell'album, le parti vocali sono assolutamente degne di nota: lo scream disperato in pieno stile DSBM fa la sua figura in "Everything's Fine", ma è specialmente il cantato pulito a rendere emozionante un brano come "Live With It", grazie alla prestazione sentita e ai testi introspettivi, adatti al contesto e non così banali come potrebbe sembrare. Campionamenti da film e sussurri si fanno sentire in qualche occasione, lasciando comunque il dovuto spazio alla strumentazione.
Concluderei dando una risposta alla mia domanda iniziale, ovvero «che cosa ha combinato Netra negli ultimi cinque anni?». Ha lavorato a un disco incredibilmente intenso, che cresce a ogni ascolto e che fin dal primo ne fa capire la qualità. "Ingrats" è un lavoro unico nel mondo del Metal estremo sia per suoni che per tematiche, oltre a essere un netto passo in avanti rispetto ai già più che buoni dischi precedenti, finendo di diritto nella mia lista dei candidati per la Top 5 di quest'anno.