OCEANS OF SLUMBER – The Banished Heart
Da quando parlammo degli Oceans Of Slumber l’ultima volta parecchia acqua è passata sotto i ponti. Rispetto ai tempi di Aetherial, non solo la band texana è uscita dal mare delle autoproduzioni per approdare nientemeno che su Century Media, ma ha anche cambiato cantante, accogliendo tra le proprie fila Cammie Gilbert, ugola molto dotata ed espressiva. The Banished Heart è il secondo disco che la vede capitanare la formazione di Houston ed è un ottimo esempio dei pregi e dei difetti del progressive metal.
Anzitutto, si tratta di un album lungo. Dai cinquanta minuti e spicci di Winter, The Banished Heart scollina comodamente l’ora e cinque minuti di registrazioni, che per quanto ben fatti diventano conseguentemente impegnativi da metabolizzare e approfondire come si conviene, soprattutto perché gli Oceans Of Slumber li riempiono davvero. Le strutture dei brani sono variegate e imprevedibili, come è lecito aspettarsi, ma a stupire è la capacità del quintetto di non dare alcun punto di riferimento.
Il più delle volte può sembrare che le idee di partenza siano riconducibili al doom più moderno e corposo di scuola Novembers Doom o Swallow The Sun (“The Banished Heart” stessa, per esempio), tuttavia non si fa in tempo a finire di formulare il pensiero che le chitarre si spostano verso panorami più ariosi e accessibili, al limite del prog-rock, che la batteria si lancia in un blast beat nero come il carbone o che il suono si modifica completamente fino a lambire territori americanissimi e metalcore (“The Decay Of Disregard”, non a caso scelta come primo singolo e apertura dell’album). Quando la canzone sembra svilupparsi lungo certi binari puoi stare certo che di lì a un minuto tutto verrà rimesso in discussione.
Gli Oceans Of Slumber oggi sono talmente prog da riuscire a stupire anche per non essere prog: è quasi alla fine del disco che arriva “No Color, No Light”, un brano semplicemente doom, dritto e soffertissimo, su cui la voce della Gilbert si sposa perfettamente con quella del fantasmagorico Tom Englund, ospite inatteso e non dichiarato (il suo nome non è indicato da nessuna parte nel libretto, ma il suo timbro è inconfondibile), e il cui video è appannaggio del sempre più affermato Costin Chioreanu. Ed è un brano così che fa rientrare prepotentemente dalla finestra tutti i riferimenti agli Swallow The Sun e alle loro variazioni. E poi ancora, visto che tutto ciò non era abbastanza, i Texani chiudono nientemeno che con una cover di Johnny Cash, “Wayfaring Stranger”, in cui la voce di Cammy si libra su poco più che un tappeto di effetti elettronici, qualche percussione e un’inafferrabile tastiera.
Va a finire che l’unico difetto di The Banished Heart, e degli Oceans Of Slumber in generale, è quello di avere troppe idee, troppe cose da dire; un problema che vorrebbero avere tutti, ma che (s)fortunatamente affligge soltanto pochi artisti. Un album così denso, così pieno, con così tanti spunti e cose al suo interno non lo sentivo da un sacco di tempo: se la coesione sulla lunga distanza non può che risentire leggermente di tanta urgenza creativa, bisogna rendere merito a questi ragazzi di avere una stoffa e capacità riservate a pochissimi.