OMNIA MALIS EST – Lucania
L’universo della musica estrema, quantomeno quello underground, rivendica da sempre una grande indipendenza dalle logiche commerciali, dagli obblighi imposti dagli imprenditori del settore e dalle mode di cui si infatuano gli appassionati con regolarità. Eppure dischi fotocopia e band copiacarbone sono all’ordine del giorno, a maggior ragione se concentriamo l’analisi sull’aspetto lirico: le solite saghe fantasy, la solita fratellanza metallica, i soliti demoni e le usuali imprecazioni contro divinità assortite. Insomma pigrizia e monotonia a volontà…
Fortunatamente fra la massa indistinguibile talvolta spiccano progetti di qualità superiore e il nostro compito come webzine è proprio quello di scoprirli e presentarveli. È il caso di Omnia Malis Est, one man band guidata da Uruk-Hai (già nei Nefertum) che avevamo conosciuto e apprezzato ai tempi di Viteliù, uno splendido affresco sui riti e le battaglie combattute dai popoli italici contro il dominio di Roma, sulle note di un metal estremo epico e melodico. Fra i popoli citati nella title track di quel disco apparivano anche gli antenati del sottoscritto (per il 50%) e dello stesso musicista: i lucani.
Il nuovo capitolo di Omnia Malis Est si intitola proprio Lucania e racconta la vita della popolazione locale negli anni ’50 e ’60 del Novecento. Un’epoca di povertà materiale nella quale i riti scandivano l’esistenza in ogni suo passaggio, dalla culla alla tomba, e rendevano la dimensione dell’incomprensibile qualcosa di tollerabile ed «essenza costitutiva» del reale. L’opera è divisa in tre parti da tre brani ciascuna: Sacra Povertà ci sbatte in faccia una realtà di stenti segnata già in partenza dalla nascita, nella quale il lavoro assume una dimensione totalizzante e la fatica ruba ogni attimo di libertà; Lamentazione Funebre sposta invece il focus sulla morte, una fedele compagna che non si allontana mai troppo da ogni lucano, fino ad arrivare ai fenomeni di allucinazione notturna dovuti al mix di disperazione e fatica; infine Terra Di Luce è una sorta di riconciliazione e dichiarazione di amore verso la Lucania.
Dal punto di vista musicale, Omnia Malis Est mantiene lo stile narrativo del suo extreme epic metal di stampo black, ricco di melodie e non privo di sfuriate, ma ne smorza parzialmente i picchi solenni e smussa il tono elegiaco (quasi poetico) utilizzato in Viteliù, preferendone uno più duro e secco, con suoni più potenti e definiti. Il senso di tragicità dei protagonisti delle vicende, non più i guerrieri italici costretti a soccombere allo strapotere di Roma ma gli umili abitanti della Lucania, resta invece intatto. Il filo di continuità prosegue anche nel lavoro di cesellatura di ciascun pezzo con piccoli ma significativi dettagli che lo arricchiscono, come un assolo, un passaggio heavy o un’atmosfera struggente. Infine i canti popolari, le recitazioni e gli estratti dai documentari donano quel tocco di sincretismo così esotico da far incontrare il metal estremo e mamma RAI, come in una sorta di piccola performance teatrale catartica, con distorsioni, blast beat e scream annessi.
Per realizzare un disco così potente a livello concettuale Uruk-Hai ha compiuto un lavoro di studio certosino, attingendo a ricerche antropologiche, poesie, racconti, fotografie e archivi sonori che rendono Lucania qualcosa di estremamente significativo, denso e profondo. Se avete un legame verso la regione oggi nota come Basilicata o verso qualunque altra terra in un certo qual modo lontana dal concetto di modernità e dalla ricerca del razionale a ogni costo (nel sud Italia o nel mondo), allora sentirete vibrare qualcosa nel vostro intimo ascoltando Omnia Malis Est e il tempo impiegato nel suo approfondimento sarà davvero ben speso.