ORCHID – Capricorn
Gruppo: | Orchid |
Titolo: | Capricorn |
Anno: | 2011 |
Provenienza: | U.S.A. |
Etichetta: | Church Within Records |
Contatti: | |
TRACKLIST
|
|
DURATA: | 57:08 |
Li attendevo, ero davvero impaziente di ascoltare un album degli Orchid: dopo aver prodotto lo splendido ep "Through The Devil's Doorway" nel 2009, il quartetto di San Francisco ha tirato fuori un "Capricorn" a dir poco superlativo.
Se il doom trae dai Black Sabbath il 90% della sua essenza, questi quattro musicisti sono gli eredi in tutto e per tutto della formazione che precedeva il rilascio del canto del cigno dell'era Ozzy con album poco convincenti quali "Technical Ecstasy" e "Never Say Die". Gli Orchid suonano alla Sabbath, dipingono atmosfere alla Sabbath, ma riescono — seppur solamente in parte — a conferire una personalità convincente e propria alle dinamiche e al modo in cui impersonificano la corrente musicale imprescindibilmente storica che hanno fatto propria. Il disco non è neanche definibile un semplice tributo ai quattro cavalieri dell'oscurità di Birmingham, è un omaggio che dimostra palesemente che grazie a quell'insegnamento si può guardare avanti, non perdendo di vista le radici.
"Orchid" contiene una successione di perle estasianti ed è davvero difficile scegliere un brano per darne una descrizione. "Eyes Behind The Wall", "Black Funeral", "Masters Of It All", "Down Into The Earth", "Cosmonaut Of Three" e "Electric Father" sono tutti apici e ciò che rimane si relega un pizzico sotto alla fine meraviglia. Non c'è un solo buco, non un solo secondo che scorra vuota o privo di senso, è un'opera che non conosce la parola riempitivo o alcun calo d'intensità, è un'ora composta, suonata e vissuta da maestri.
È un caso più unico che raro — almeno per il sottoscritto — trovare dei musicisti che riescano a esaltarmi esibendosi in sessanta minuti di Black Sabbath, senza dover per forza pensare: «bello, mi piace, certo un po' scontatello». Ovviamente è eresia negare che il riffato partorito dalla mente di Mark Thomas Becker sembri essere stato creato da un provetto allievo di Iommi, tuttavia ne ha carpito gli aspetti più emozionanti; in altrettando modo non posso negare che il carismatico e trascinante Theo Mindell cavalchi sull'onda delle linee vocali proposte dall'Ozzy che fu. Eppure "Capricorn" nonostante i suoi eccessivissimi rimandi alla band madre — alle volte a dir poco sfrontati — con la sua natura settantiana sino al midollo e che in certi casi lo stritola tanta è la presenza del gruppo inglese, non risulta per nulla limitato da questi fattori, al contrario esplode continuamente, rilascia classe e fa scuola alla moltitudine di compagini che condividendo lo stesso bagaglio sonoro non riescono a far altro che essere una buona p grande rappresentazione dei Sabbath del tempo.
L'assetto ritmico composto da Nickel al basso e Carter Kennedy dietro le pelli è perfetto, fornisce una propulsione che si adegua ai cambi umorali, mentre l'ottima produzione — che rincara la dose nostalgica con un suono vintage che però mantiene robustezza e corposità maggiori rispetto agli anni '70 (gli Orchid sono più grevi e pesanti dei Witchcraft per chiarirvi un po' le idee) — completa un quadro che è pronto a entrare nelle case degli sfegatati amanti del genere, per inondarli di piacere con questo piccolo capolavoro.
L'ho detto più volte, lo ripeto per l'ennesima: il doom sta dominando la scena metal in quanto a qualità e "Capricorn" n'è l'ennesima riprova. Vi ritenete fedeli osservatori del credo doom? Allora questo disco deve entrare in casa vostra, non c'è alcun dubbio in proposito.