PESTE NOIRE – Peste Noire
Una voce cristallina si libra su note di ghironda e doppia cassa battente… E un osceno rutto viene rigurgitato nel silenzio sospeso dell'assenza di strumenti. Entro questi due estremi è compresa l'arte sonora irriverente e farsesca dei Peste Noire, e sono davvero in pochi a saper miscelare con tal maestria volgare sarcasmo e struggente lirismo, specie all'interno del genere di appartenenza della banda francese, ovvero il black metal, stile storicamente incline a prendersi parecchio sul serio.
I Peste Noire sono principalmente la creatura di Famine, autore di tutto ciò che il gruppo produce, e i dischi della Peste Nera sono dunque il suo regno. Nel fatato mondo di Famine, tra paludi di tristezza e vili carnevalate, il black metal viene volentieri martoriato tramite scale melodiche debosciate, purgato di qualsiasi occulta aspirazione tramite motti e sberleffi da teppista, sezionato e ricucito alla bell'e meglio con fil di ferro punk. La sua poetica lirica e concettuale, che passa da considerazioni sullo sterminio gioioso dell'umanità alla canzone dei trovatori francesi, fa sì che i suoi album siano una festa da vedere e da leggere, oltre che da sentire: stampe quattrocentesche deturpate da segnacci tipo sussidiario delle elementari, collage farlocchi e coccarde, tovagliette da osteria, slogan uligani, ballate popolari francesi, mitragliatrici & mazze da baseball… Una festa. A far da filo conduttore in tal delirio, una certa propensione alla tematica medievale, palesata soprattutto dal massiccio utilizzo di stampe d'epoca nella grafica degli album e dall'inserimento sempre più presente, disco dopo disco, di strumenti tradizionali.
Giunti ora all'opera più medievale della Peste, il nuovo album "Peste Noire", è doveroso annotare come l'idea di medioevo espressa dai francesi non sia mera facciata, come sovente accade tra i solchi dei dischi metal. Per i PN i Secoli Bui non sono una semplice scenografia nella quale allestire pose truci, eroiche o fantasy, ma il grimaldello per mettere alla berlina vizi e brutture dell'umana società. Pozzi infetti, razzie, prestiti ai poveri… Queste attività degne di un dipinto di Bruegel non sono poi così diverse, ragiona Famine nelle prime righe di "La Bêche Et L'Épée Contre L'Usurier", dagli odierni vaccini, usura e crediti. I soprusi di oggi sono i medesimi di un tempo, e se nulla è cambiato nella natura dell'uomo, allora anche il suono degli strumenti tradizionali si adatta e diventa arcigno, rifiutando qualsiasi posticcia tonalità alla Loreena McKennith. Le fisarmoniche digrignano i denti, i violini stridono, le ghironde sbuffano aria polverosa oggi nel black metal dei Peste Noire come, probabilmente, nelle corti dell'Europa di allora.
Smessi i panni di DJ Famine, che avevano inondato di elettronica il precedente "L'Ourdre À L'État Pur", il Nostro indossa il saio, impugna la forca e verga il disco più «medieval black metal» dei Peste Noire, ovviamente con piglio tutto suo. La folla si accalca tra la polvere, e già avanzano i banditori annunziando il manifesto della Peste, tra i fischi e rumori dell'apertura di "La Retour De La Peste": sta per sfilare la parata carnascialesca della Peste Nera. Accogliamo dunque il temibile Demonarca che, come si legge nelle liriche dell'omonimo brano "Démonarque", porta «Saggezza, Onore, Lealtà e Razza tra i cassonetti della Repubblica dei Bastardi», con gran strepitio di tamburi e maltrattamento di chitarre. Nel bel mezzo delle fioriture acustiche del pezzo, sboccia la voce pura e impassibile della cortigiana Audrey Sylvain, collaboratrice storica dei Peste nonché dei sognanti e ben più famosi Alcest. Un fiorellino di voce in mezzo a una masnada di briganti, insomma, ed è proprio grazie al taglio pop della sua intonazione che il successivo "La Bêche Et L'Épée Contre L'Usurier" diventa uno dei brani capolavoro di Famine, in incredulo equilibrio tra ispide sonorità estreme, umori popolari e bilioso rancore per la Francia moderna.
"Niques Vos Villes" è invece l'elogio del popolino teppista e stanco della città. Il rutto di cui si diceva in apertura di recensione si trova proprio qui. A dar manforte alla struttura del pezzo, che tra rantoli e raspi stramazza a terra nel silenzio per rialzarsi sotto altra forma per ben tre volte, ci pensa Roman Saenko (leader dei Drudkh ed ex Hate Forest), uno dei tanti ospiti segreti del disco. È suo il growl bestiale che, introdotto da corni di guerra (per la precisione lituus e carnyx, corni della tradizione gallo-latina), condurrà il brano verso un finale di pura ferocia death metal.
Compare ora il Mastino Nero di Pontgibaux, protagonista delle leggende quattrocentesche della Francia centrale nonché del brano "Les Clebs Noir De Pontgibaux", un lamento di morte allucinato intonato tra viscide spire di suono. I lamenti da gargoyle di Famine e Dunkel (altro ospite, mente dei Sal Freux e dei Drakonhail) sono ripugnanti.
C'è spazio per la breve "Ode", composizione massiccia che non si fa mancare comunque concitate sarabande, ed è tempo quindi di "La Blonde", puro punk dedicato, ovviamente, alla «bevanda degli antenati». Scende infine il gelo sulla miseria delle note in "Moins Trente Degrés Celsius" e il corteo si chiude al passo di suoni e tematiche tipicamente black metal, per la gioia di chi attendeva dai Peste Noire un ritorno a queste sonorità, sempre che le abbiano mai abbandonate, sempre che le abbiano mai abbracciate in pieno.
Due le possibilità per aggiungere in collezione l'ennesimo capolavoro bacato della brigata francese: edizione «parasites sociaux» in cartoncino scadente e disadorno, oppure edizione super lusso cartonata blu con libro illustrato di ventidue pagine e caratteri in foglia oro. Niente tracce bonus, il disco rimane sempre quello. Qualunque sia la versione di vostra scelta, peste vi colga!