PLEŠATÁ ZPĚVAČKA – Vlasy Dievčat
Vlasy Dievčat è il terzo album dei cechi Plešatá Zpěvačka, un quartetto proveniente da Praga il cui nome è ispirato alla prima opera teatrale del grande autore rumeno Eugène Ionesco, La Cantatrice Calva, che è considerato tra i primi esponenti della corrente del teatro dell’assurdo; questa propone una rappresentazione dell’umanità medio-borghese che fa dell’inazione e di una grottesca staticità i suoi connotati essenziali, insomma un’opera che punta al sovvertimento e alla demolizione dei classici paradigmi della prassi teatrale e che mette in luce il non-senso e l’assurdo che si celano dietro situazioni pressoché quotidiane. Su basi altrettanto stravaganti e irriverenti si fonda Vlasy Dievčat (tradotto come Girls Hair), un disco che — nonostante non possa definirsi avanguardistico come la La Cantatrice Calva di Ionesco — riesce a trascinare l’ascoltatore su un palcoscenico permeato da un’oscurità intermittente e da fumi psicotropi, arredato con strani oggetti: maschere in latex, disegni di chimere mezzo umane e mezzo pesce, vesti di pelliccia e teschi sghignazzanti.
Per descrivere l’approccio compositivo dei Plešatá Zpěvačka potrebbero già bastare gli appellativi che loro stessi affibbiano all’album su Bandcamp: «dirty blues», «metallic infested tango» e «swamp lounge» sono soltanto alcuni dei termini che meglio sintetizzano le loro sonorità fangose e strazianti, la loro andatura spesso barcollante e rapsodica, oltre che le nebbie insalubri che si innalzano dai loro testi allucinati. Vlasy Dievčat parte da una solida e intransigente base di scuola sludge, che solo poche volte si fa ritmicamente travolgente, mettendo spesso in mostra la sua faccia più ipnotica. La cupezza implicita nel genere si spinge, sia sonoramente che tematicamente, verso i lidi della malattia e della perversione, dell’allucinazione e del desiderio, lasciando in ombra la dura e cruda violenza. I testi di canzoni come “Malé Kurvao” (little whore) e “Čaroděj Z Krajiny Gestapo” (wizard of the gestapo) contestualizzano appieno le sonorità fatali e ribollenti che li accompagnano, dipingendo sia immagini apocalittiche (fatte di sciami di mosche, cadaveri e stregoni nazisti) che istantanee di assurdità quotidiana (come una bambina che, intenta a scavare nella sabbia, disseppellisce una gamba umana che lentamente riprende vita sotto gli occhi della madre).
I Plešatá Zpěvačka hanno partorito un miscuglio azzeccato di sonorità monolitiche e atmosfere morbose, un obbrobrio di sludge e psichedelia con venature hardcore di pura dissonanza. Vlasy Dievčat è un vero e proprio bad trip sonico, frutto di una struttura compositiva che, nonostante la sua schietta linearità ritmica, riesce in più punti a sorprendere, grazie a un cantato allucinato e a pochi ma azzeccati cambi di marcia. A dare ulteriore complessità all’ascolto non sfigurano gli intermezzi strumentali velatamente melodici e atmosferici (che aprono e chiudono il disco), in cui emerge la faccia più doom dei Nostri. Vlasy Dievčat è un disco strano, di una stranezza che rapisce i sensi e che sconvolge la mente, bombardandoli con immagini grottesche e sonorità spettrali; un album che mette al bando ogni forma di stabilità, sia compositiva che narrativa, gettandosi a peso morto tra la braccia dell’Assurdo.