Il terzo viaggio dei Portal nella psiche umana decostruita

PORTAL – Swarth

Gruppo: Portal
Titolo: Swarth
Anno: 2009
Provenienza: Australia
Etichetta: Profound Lore Records
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TRACKLIST

  1. Swarth
  2. Larvae
  3. Illoomorpheme
  4. The Swayy
  5. Writhen
  6. Omenknow
  7. Werships
  8. Marityme
DURATA: 40:45

In principio era il caos, il caos primordiale, puro, amorale, estraneo ai concetti di bene e male. Un concetto che appare tutto sommato ordinato e formalmente accettabile dopo aver incontrato lungo il proprio cammino Swarth, un concetto annichilito nel momento stesso in cui i Portal hanno deciso di rievocare quella medesima forza primigenia, ma non prima di averla aggrovigliata e gettata nel più profondo girone dell’inferno. Terzogenito della band, il disco prosegue e perfeziona la strada intrapresa con l’acerbo e folle Seepia e con Outre verso una violenta e alienante Babilonia musicale, portando a un nuovo stadio la degenerante malattia sonora che da oltre un decennio contamina i manicomi di Brisbane.

Death metal, noise, contaminazioni black metal, influenze sludge vengono risucchiati in una abissale spirale di oscurità. Horror Illogium e Aphotic Mote, con chitarre distorte al limite dell’umana sopportazione, disegnano scale a tratti incomprensibili, dissonanti, dispari, lasciando droni di suono lungo il loro percorso; Ignis Fatuus, in preda a un delirio epilettico dietro le pelli, tesse trame labirintiche, senza senso apparente, blast beat feroci si alternano a improvvisi cali di ritmo, seguiti a ruota dalle plumbee evoluzioni di Omenous Fugue (basso, neo-acquisto della band all’epoca dell’uscita del disco). La tensione sonora è costante, i continui capovolgimenti lasciano gli astanti straniti, e se per qualche breve secondo il moderno Teseo si illude di aver trovato il proverbiale filo, basta svoltare l’angolo per imbattersi in una via cieca, un ennesimo muro sonoro, o peggio ancora il Minotauro stesso pronto a cavargli le viscere.

The Curator (voce) — teatrale sia su disco che in sede live e leader carismatico con pochi eguali — dal profondo del suo orologio a cucù (copricapo che ridefinisce assolutamente il concetto di stile) esprime il suo disagio con liriche enigmatiche, espressionista contemporaneo in ritardo di un secolo, sussurrando versi sghembi, in cui l’inglese stesso, maciullato prima e ricostruito poi, assume nuove sfumature deformi e alterate. Il risultato è disturbante, estraniante, oltre che assolutamente originale, e per quanto complesso e allucinato nelle sue forme, Swarth lascia fin dai primi ascolti una ben evidente traccia emotiva, che spinge quasi inconsciamente a riascoltare il disco per scoprirne le mille sfaccettature, per comprenderne le impenetrabili geometrie.

Fate attenzione però, l’oscurità è una droga e crea dipendenza.