PSYCHONAUT 4 – Dipsomania
Il nome degli Psyconaut 4 sarà sicuramente noto ai seguaci della scena depressive, tanto a chi si è innamorato di queste sonorità grazie alla produzione scandinava di band come Lifelover, Totalselfhatred e Shining, quanto a chi ha preferito l’approccio dei più continentali Nocturnal Depression, Nyktalgia e affini. Nel caso in cui questa fosse la prima volta che leggessi il nome dei georgiani, è invece il caso di spendere due parole su di loro prima di passare a discutere di Dipsomania, probabilmente il loro album più famoso, ristampato poco tempo fa da una delle nostre dispensatrici preferite di malessere in salsa black metal: la Talheim Records.
Non la si può fare breve, quando si parla di una band estrema proveniente dalla Georgia. I grandi Archivi del Metallo portano traccia di appena una trentina di band dell’ex repubblica dell’Unione Sovietica, di cui una buona decina ha chiuso i battenti o si è dissolta nell’etere, quindi che un nome grosso come quello degli Psychonaut 4 sia georgiano non è scontato; l’unico altro esempio che mi viene in mente sono i loro concittadini Ennui, per il resto vuoto totale. E sebbene la creatura di Graf, Drifter, Glixxx, Nepho, Alex Manabde e S.D. Ramirez si immetta musicalmente sulle coordinate piuttosto europee di un black metal raffinato e disperato al tempo stesso, con qualche tocco di post- e una passione per le ritmiche a volte al limite del doom, il disagio che trasuda la musica del sestetto di Tbilisi è assolutamente originale.
Dopo essersi formati all’inizio dello scorso decennio rubando il nome alla psiconautica e a un medicinale per la tosse il cui abuso provoca effetti psicoattivi simili a quelli della ketamina, i sei hanno affrontato qualche passaggio intermedio (tra cui l’emblematico Have A Nice Trip e lo split negativissimo con In Luna, Ofdrykkja e Vanhelga) prima di pubblicare cinque anni fa Dipsomania, il loro secondo album, quello che di fatto ha lanciato gli Psychonaut 4 verso la notorietà. Il degrado post-sovietico continua a pesare sul groppone della band e, tra un eccesso e l’altro, ce lo racconta indirettamente alternando russo e inglese sia tra un pezzo e l’altro che all’interno di un singolo brano, come in “We Will Never Find the Cure”. Ed è così che fra urla strazianti e puliti enfatici (“Personal Forest”), talvolta sull’orlo del pianto (“Alcoholism”), distorsioni modernamente zanzarose e clean claustrofobici, batterie cadenzate e blast beat incessanti, si snoda l’allucinatissimo trip andato a male dei nostri psiconauti, lungo una via che porta direttamente al camposanto.
Non c’è niente che non vada in Dipsomania, a partire dalla copertina che raffigura un tenero bambino scheletrico, in lacrime, pronto a piantarsi una pallottola in una tempia (insospettabilmente opera del buon Maxime Taccardi), fino ad arrivare alla giustificazione dell’alcolismo («Bere è un buon modo per ucciderti lentamente […] Ed è legale!», si urla in russo in “Suicide Is Legal”) e dell’uso di droghe («Is there a hope that the forest will help? / How much for the hope?», da “How Much For The Hope”), passando inevitabilmente per i classici momenti di crisi esistenziale in cui si decide di mandare tutto al diavolo: «Her naked body is no longer excites me / What’s wrong with me? […] My medication don’t cure me […] I always knew that alcohol and pills is very bad combination / But I don’t know how else to escape from the reality» (“Beware the Silence”).
Personalmente, non credo serva altro per ricordare come Dipsomania sia tra i migliori album del settore usciti nello scorso decennio. A chi mancasse questa perla, il consiglio è di approfittare dell’operazione di ristampa attuata da Talheim e rimediare; perché chiunque apprezzi queste derive del black metal non può fare a meno degli Psychonaut 4.