QILIN – Petrichor
Figlio contemporaneo di due titani come lo stoner rock e il doom metal, quel genere misto di stoner, doom e sludge è sempre stato decisamente prolifico. Una delle band emergenti che merita attenzione in questo contesto sono i parigini Qilin, che quest’anno hanno ristampato Petrichor, album di debutto del 2020 ora approdato sotto l’ala della nostrana WormHoleDeath. Il quartetto strumentale è nato nel 2015, è composto da Thomas (chitarra solista), Frèdèric (chitarra), Benoît (basso) e Mathieu (batteria) e prende il nome da una creatura fantastica orientale (nota anche col nome di Kirin) che potremmo paragonare a una più occidentale chimera-unicorno.
Parimenti alla bestia, il sound dei Qilin è composto da più elementi che ricordano gli animali di origine, ma che insieme formano una creatura completamente nuova. Fermarsi alla superficie e giudicare l’ibrido a partire dalle sue radici evidenti sarebbe semplice, così facendo però perderemmo la possibilità di ascoltarne la storia. Questa storia si chiama Petrichor, vale a dire il profumo della pioggia sulla terra asciutta, nome molto intenso e introspettivo il cui corrispettivo italiano è petricore.
L’opera si dischiude con “Through The Fire” che sorprende con una velocità e un’energia abbastanza inusuali per la categoria; a bilanciare la parte ritmica ben sostenuta arriva però la pesantezza delle chitarre, quasi come se gli strumenti stessero discutendo su chi deve prevalere. I riff orecchiabili e ripetitivi, tuttavia, si lasciano convincere e trascinare in un exploit più schierato sullo stoner, poi — come pentiti — subito dopo i toni si abbassano e cala un velo di melanconia. I ritmi rallentano, quasi perplessi, lasciando prevalere la parte più doom.
L’altalena emotiva e musicale prosegue mostrandosi in altre sfaccettature: da “Labyrinth” fino all’allucinata “Cold Pine Highway”, presentata da un breve scambio di battute tra due voci (unica eccezione dell’intero album completamente strumentale). Arriva quindi “Sun Strokes The Wall” che è un vero e proprio tributo ai genitori di questa sottocategoria e probabilmente anche l’unico momento in cui, tra riff onirici e rallentamenti, si ottiene una vera alchimia tra le influenze, a dimostrazione anche dell’elevato potenziale che i Qilin possono raggiungere. Segue “Myrmidon’s Big Jam”, che da sola riassume efficacemente lo spirito dualistico dell’album: nell’attrito delle personalità contenute nello stesso corpo è possibile che si manifesti un equilibro unico e sempre nuovo. L’opera è chiusa infine da “Head Of Medusa”, la più intima e oscura delle tracce, dove possiamo trovare il climax del viaggio interiore compiuto dalla bestia tormentata nella ricerca della sua identità; questo intenso brano, tra l’altro, è contenuto nella compilation Weedian: Trip To France.
Pur non riscrivendo le regole del genere, i Qilin mostrano il coraggio di cercare se stessi attraverso un’opera davvero degna di nota e, a modo suo, sorprendente.