I Realm Of Wolves, fra blackgaze e poeti ungheresi

REALM OF WOLVES – Oblivion

Gruppo: Realm Of Wolves
Titolo: Oblivion
Anno: 2018
Provenienza: Ungheria
Etichetta: Beverina Productions / Casus Belli Musica
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TRACKLIST

  1. Cascadia
  2. Ignifer
  3. Old Roots
  4. Translucent Stones
  5. Twelve Miles To Live
  6. Into The Woods Of Oblivion
  7. Northern Wind
  8. Laurentia
  9. Shores Of Nothingness
  10. Fragments Of The Self
DURATA: 51:57

Abbiamo affrontato da poco il discorso Cascadia e di quanto il metallo proveniente da quest’area geografica stia avendo un impatto sostanziale sui giovani musicisti europei — sebbene le sue origini risalgano proprio al Vecchio Continente — come in una sorta di tavolo da ping pong intercontinentale. Vorrei poter dire che gli ungheresi Realm Of Wolves rispondono al richiamo del Nord-Ovest americano a modo loro, e lo posso dire, almeno in parte, ma si portano anche appresso un ostinato alone di già sentito che pesa non poco sui cinquantadue minuti di Oblivion (la versione digitale auto-prodotta ne dura dieci in meno e consta di sette tracce invece che dieci).

Partiamo dalle note liete. La veste grafica così come la qualità complessiva del digipak pubblicato da Beverina Productions e Casus Belli Musica, fanno il loro bell’effetto. Il disco suona bene, è prodotto con grande cura e rende pienamente onore alla perizia tecnica espressa dal trio guidato dalla chitarra di Stvannyr; padrone, quest’ultimo, di un discreto repertorio che spazia dal classico black metal, passando per il classico folk fino al doppiamente classico post-rock di scuola soft/loud.

Quindi le note cattive. Insisto sul termine classico perché i Realm Of Wolves, che partecipano collegialmente alla fase di scrittura, fanno tutto bene senza sbavature, senza uscire dai margini del foglio, senza quella punta di estro che perlomeno di tanto in tanto potrebbe farci sobbalzare. Ci sono gli arpeggi sognanti, le impennate cattive, le chitarre iper-riverberate di stampo blackgaze e il succitato, prevedibilissimo post-rock. Alla fine della fiera Oblivion non è niente di più di un concentrato di trend, nel quale una forma corretta non salva una sostanza poco ispirata, e quando il problema si ripresenta costante anche dopo ascolti ripetuti, senza che alcun momento del disco si sedimenti — nemmeno la messa in musica (“Into The Woods Of Oblivion”) di un testo di Attila József, uno dei massimi poeti magiari — nella nostra memoria, beh la faccenda è più seria del previsto.

Quante volte vi sarà capitato di leggere stroncature di libri nelle quali si richiama la sacralità della materia cartacea e della sua origine arboricola, purtroppo questa è una di quelle recensioni. Considerando quanto poco hanno da dire i Realm Of Wolves, sarebbe stato opportuno fargli fare un altro po’ di gavetta nel limbo delle auto-pubblicazioni digitali, invece di impiegare del prezioso cartoncino e del policarbonato (ok, si può riciclare, ma meno ne produciamo meglio è).