ROTTING KINGDOM – A Deeper Shade Of Sorrow
Il debutto dei Rotting Kingdom non è un album che passa inosservato. I motivi per cui la formazione di Lexington, Kentucky, si fa notare nell’affollatissimo e asfittico panorama di uscite metallare quotidiane sono molti, e fortunatamente sono tutti giusti. A Deeper Shade Of Sorrow è in tutto e per tutto un album figlio del death-doom degli anni ‘90, quello che fece la fortuna dell’Inghilterra di My Dying Bride, Anathema e Paradise Lost, ma che ebbe interpreti di indubbio valore e un po’ sottovalutati anche dall’altra parte dell’Atlantico, dove gente come Dusk e Morgion non raccolse mai davvero quanto seminato.
Partendo da queste coordinate, i Rotting Kingdom si muovono però lungo una direttrice propria, variando e soprattutto ampliando il registro, attualizzandolo al 2020 e non scadendo in una banale ripresa di idee e stilemi vecchi di trent’anni. Capita, quindi, che tra un downtempo e l’altro i ragazzi del Kentucky prendano strade diverse, a tratti orientate al goth rock (la title track), a tratti fatte di arpeggi e aperture melodiche (“Barren Harvest”). I sei brani dell’album sono spesso piuttosto corposi e — tolti l’intermezzo strumentale “Decrepit Elegance” e la successiva “Absolute Ruin” — superano tutti abbondantemente i sette minuti, per cui il quintetto ha spazio e tempo a sufficienza per mettere e togliere, per aggiungere e per provare. Ne esce un disco denso e ispirato, al tempo stesso in grado di farti sentire a casa e di sorprenderti con spunti personali.
Oltre agli spunti, a fare la fortuna della band è un ottimo gusto per le melodie, sempre fresche e mai buttate là, e si sente che tutti e cinque i ragazzi hanno partecipato a uno sforzo di scrittura collettivo, perché ogni strumento trova il proprio posto in modo naturale. Questa vena compositiva molto varia porta con sé anche qualche difficoltà, nel senso che a volte McIntyre e soci si piacciono un po’ e indulgono in momenti non proprio essenziali, con qualche riff che dura un attimo di troppo o idee non ancora del tutto messe a fuoco, soprattutto nella prima parte dell’album. Trattandosi di un debutto non è nulla di grave, anzi, tutto lascia presagire che i Rotting Kingdom cresceranno e svilupperanno il proprio repertorio nel migliore dei modi.
Registrato agli Sneak Attack Studios, il sound di A Deeper Shade Of Sorrow non è particolarmente cupo né plumbeo, forse conseguenza del fatto che Jason Groves, il produttore, è più abituato a lavorare a suoni folk e stoner, ma anche questa finisce con l’essere una cifra dei Rotting Kingdom. Ultimo tocco di classe: un’illustrazione del sempre fenomenale Adam Burke, che stavolta vira su un’immagine molto romantica e settecentesca, dove la natura sublime costringe l’unica figura umana, impotente, davanti a un relitto.
Tanti, tantissimi punti a favore dei Rotting Kingdom, e brava la polacca Godz Ov War a notarli e metterli sotto contratto. Se tutto va bene, sentiremo molto parlare del gruppo di Lexington.