RUÏM – Black Royal Spiritism – I. O Sino Da Igreja
Rune Eriksen, a.k.a Blasphemer, è un nome importante del black metal, essendo comparso sulla scena come sostituto nientemeno che di Euronymous nei Mayhem, accompagnando i padri fondatori nel periodo artistico dal 1994 al 2008. In seguito ha allargato il proprio spettro artistico, trasferendosi in Portogallo e sporcandosi di thrash con gli Aura Noir, di death con gli Vltimas, di prog-rock negli Earth Electric e di doom con gli Ava Inferi insieme alla moglie Carmen Simões.
Ruïm in portoghese — al netto della dieresi, che da Lemmy in poi è considerata una sorta di jolly per i nomi di gruppi metal — significa spiacevole, brutto, ed è il nome ideato da Blasphemer per il suo nuovo progetto in cui si occupa di tutti gli aspetti strumentali e compositivi, con l’eccezione della batteria affidata al francese CSR. Le influenze che hanno portato alla nascita di Black Royal Spiritism – I. O Sino Da Igreja, annunciato come prima parte di una immancabile trilogia, sono da ricercare nella scoperta da parte di Eriksen dell’Umbanda, un culto sincretico africano diffuso in Brasile, tra cattolicesimo e spiritismo, affine alla Macumba e basato sulla possibilità di evocare e comunicare con gli spiriti dei defunti.
Le suggestioni brasiliane, corroborate da occasionali parti cantate in portoghese, si fermano alla soglia degli aspetti musicali. Da un punto di vista acustico Ruïm si colloca decisamente nell’ambito del black norvegese, attingendo a piene mani dall’esperienza di Rune in dischi del calibro di Wolf’s Lair Abyss e A Grand Declaration Of War. Dissonanze, repentini cambi di atmosfera, melodie sulfuree in costante tremolo, passaggi inquietanti di chitarra pulita e uno screaming sofferto dominano O Sino Da Igreja con la padronanza tipica di chi questo genere lo mastica da decenni. Emerge a tratti invece la vena thrash-death caratteristica delle altre band di Blasphemer, ma sempre lungo binari indiscutibilmente black.
Il trio di pezzi d’apertura composto da “Blood.Sacrifice.Enthronement”, “The Triumph (Of Night & Fire)” e “The Black House” offre venti minuti di magistrale oscurità nordica e rappresenta il picco di un album che poi perde lievemente il focus, pur restando su livelli molto alti. I testi, ad eccezione del lyric video di “The Triumph”, non sono a disposizione ed è un peccato: lo screaming di Rune non è molto intellegibile e le occasionali parti in norvegese e portoghese vanno oltre le capacità linguistiche dell’ascoltatore medio, quindi le suggestioni esoteriche restano più intuite dai suoni che comprese in pieno. Spunti atmosferici interessanti si possono invece trovare quando i Ruïm alzano il piede dall’acceleratore, in particolare su “Ao Rio” e “Evig Dissonans”.
Punto dolente dell’album a mio parere è la cover di “Fall Of Seraphs”, nella quale emerge chiaramente come la maestria e l’esperienza non possano rimpiazzare il genio: CSR è bravo e la produzione ne esalta il tocco umano senza ridurre il suono a una piatta drum machine, ma l’approccio fantasioso e debordante di Hellhammer manca e parecchio. Le parti vocali sono affidate a Proscriptor McGovern (ex Absu) che svolge un lavoro impeccabile, tuttavia la performance deragliata di Maniac resta su un altro pianeta.
Ruïm è un progetto interessante, non privo di pecche ma con basi estremamente solide. Questa prima parte ne ha stabilito l’essenza nordica e le tendenze spiritistiche tropicali. Sarebbe interessante vedere sviluppi meno paludati e da manuale, per quanto il buon vecchio black norvegese sia sempre gradevole quando scritto e suonato come si deve. Da tenere d’occhio.