RUSSIAN CIRCLES – Blood Year
Gruppo: | Russian Circles |
Titolo: | Blood Year |
Anno: | 2019 |
Provenienza: | U.S.A. |
Etichetta: | Sargent House |
Contatti: | ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
TRACKLIST
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DURATA: | 39:29 |
Non mi capita spessissimo di amare un disco fin da subito, ma Blood Year è stato una piacevole eccezione. Forse ho giocato la mia mano troppo presto, allora cerchiamo di andare con più ordine. Il mio rapporto con i Russian Circles iniziò in maniera un po’ altalenante, mentre intorno alla metà degli anni ’00 facevo le mie giuste scorpacciate di Pelican, Red Sparowes e di altri nomi più vecchi degli ambienti post-rock e post-metal. Per qualche motivo, la band di Chicago non mi colpì a fondo da subito, forse proprio perché cercai di ascoltarne troppo in una volta.
Intanto Sullivan, Turncrantz e Cook continuavano a costruire la propria leggenda con dischi grossi come Station, fino a sbarcare su Sargent House con Empros, entrando di fatto nel firmamento del post-metal internazionale. Da allora è passata tanta acqua sotto i ponti, fino a quando l’uscita di Guidance nell’estate 2016 e la notizia di una tappa a Livorno mi hanno riportato senza più scuse nell’orbita dei Russian Circles.
Negli anni, l’etichetta di Los Angeles ci ha abituati a un lavoro certosino nella promozione degli artisti con cui collabora, e anche stavolta non ha sbagliato il colpo con l’uscita del singolo di lancio “Arluck” a un paio di mesi dalla pubblicazione di Blood Year. Tra le altre cose, spiccavano il sobrio artwork dall’aura mistica a opera di Orion Landau e l’eterno Kurt Ballou al mixer; inoltre il disco è stato registrato presso lo studio Electrical Audio di Steve Albini. I Russian Circles hanno fatto il bis con la granitica “Milano” circa un mese dopo e a quel punto il mio hype era alle stelle: ancora prima di uscire, il lavoro del trio di Chicago era già potenzialmente nella lista degli album dell’anno. Ovviamente, non bastano due pezzi per far sì che questo accada.
Blood Year si divide in due parti, aperte rispettivamente da “Hunter Moon” e “Ghost On High”, introduzioni molto minimali da circa due minuti ciascuna, che mi hanno ricordato a tratti un’altra bella uscita di casa Sargent House. Gli altri cinque brani sono probabilmente il materiale più oscuro e pesante messo insieme dai Russian Circles nella loro lunga carriera. L’anno di sangue che ci investe è vorticoso, tempestoso, complicato, addirittura emergono qua e là sentori di Agalloch. Il brano centrale “Kohokia” fa da ponte tra le due sezioni, incarnando le varie anime che caratterizzano la musica del trio.
Mentre “Quartered” vi annichilisce, è molto probabile che arriverà anche per voi la realizzazione di aver appena finito di ascoltare uno dei dischi più interessanti dell’anno. Un anno di sangue e conflitto che il trio ha messo in musica con grande maestria e senza parole.