SARATAN – Asha | Aristocrazia Webzine

SARATAN – Asha

Gruppo: Saratan
Titolo: Asha
Anno: 2015
Provenienza: Polonia
Etichetta: Fonografika
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TRACKLIST

  1. Hvare Khshaeta
  2. Asha
  3. Dakhma – The Tower Of Silence
  4. The Chinvat Bridge
  5. Khvarenah
  6. Sacred Haoma
DURATA: 43:53

Ripartire dal proprio passato per modellare il presente e il futuro: i Saratan l’hanno sempre fatto. Di album in album hanno inserito elementi, modificato lo stile e aggiustato il tiro, raggiungendo con il nuovo Asha non dico la perfezione, ma quanto di meglio si ci potesse attendere da loro. La precedente uscita discografica Martya Xwar fece registrare l’ingresso di melodie e atmosfere orientaleggianti che andavano ad arricchire e diversificare il suono thrash metal cupo e decadente del gruppo. Tale approccio più ricercato pare sia diventato il mattone fondamentale sul quale imperniare un quarto disco nel complesso ancora più estremo.

Un numero di pezzi ridotto in scaletta (appena sei) e una durata che invece tende ad aumentare sembrano essere dati irrilevanti, se non fosse che l’ascolto dimostra il contrario. Pur avendo realizzato composizioni dinamicamente non ineccepibili e talvolta anche un po’ prevedibili, a causa di schemi espositivi che col tempo si ripresentano, la band ha la capacità di gestire la situazione con una discreta sapienza, regalandoci così brani prestanti e arrembanti (“Hvare Khshaeta” e “Khvarenah”), lunghi ed epici (“Dakhma – The Tower Of Silence”) e persino una conclusiva e piacevole ballata che allenta notevolmente l’incedere ritmico, avvalendosi di cadenze in stile gothic-doom (“Sacred Haoma”).

Certamente la prevedibilità di fondo nell’alternanza dei momenti pesanti, di pura e diretta aggressività, con le sensazioni mistiche ed esotiche innestate dalla strumentazione etnica (tar, setar, baglama cura, kamancheh, darbuka, rig e tombak) o dall’entrata in scena della suadente voce femminile di Malgorzata “Maggie” Gwózdz (valida sia in qualità di contraltare del grugnito di Jarek Niemiec che in sede solista) appesantisce l’andazzo, ma in fin dei conti la si può considerare un difetto di entità minore.

I Saratan non suonano più thrash o perlomeno non soltanto quello. Il loro «oriental metal» probabilmente allontanerà coloro i quali si erano affezionati alle oneste, solide e incontaminate prove fornite a inizio carriera, dando però la possibilità a chiunque apprezzi le divagazioni folcloristiche e un corposo utilizzo della voce femminile di gradire Asha. L’album è finalmente figlio di una creatura evoluta, non ancora del tutto rifinita, tuttavia in grado di far trapelare con maggior decisione parte della propria personalità, stavolta non etichettabile solo come affidabile: quel pericolo è stato scongiurato.