SELVANS – Faunalia
Quest’anno Avantgarde Music ha davvero fatto un lavoro splendido, pubblicando dischi di qualità su molti fronti, soprattutto su quello del black metal atmosferico. Possiamo annoverare fra gli altri, ad esempio, World Of Wounds dei Barren Canyon e starCross dei Progenie Terrestre Pura. Oltre a loro, spicca anche Faunalia, il secondo album dei Selvans.
Analizziamo l’ultima opera di Haruspex e Fulguriator, partendo dagli elementi più esterni e superficiali fino ad addentrarci nei dettagli dell’anima di Faunalia. Se la copertina, in primis, stona con le più classiche e tradizionali coordinate stilistiche del duo abruzzese (rappresentando un essere umano con la testa da caprone, seduto e intento a suonare la fisarmonica; un’immagine leggermente disturbante e, personalmente, anche ai limiti del perturbante), si può affermare con certezza che il cambio di estetica dei ritualisti silvani attraversa il progetto da cima a fondo. Anche sul fronte della presentazione live, infatti, i Nostri hanno iniziato a spostare l’attenzione maggiormente su un piano drammatico-orrorifico rispetto al filone natale legato al Folk atmosferico di impronta pagana.
Volgendo lo sguardo, quindi, al contenuto vero e proprio dell’album, non ci sorprende affatto incontrare altri cambiamenti… e che cambiamenti! L’apertura strumentale “Ad Malum Finem” segna da subito, ancora più concretamente rispetto alla componente visuale, il distacco con ogni precedente produzione dei Selvans. Sebbene il contesto sia tendenzialmente sempre oscuro, come ben si confà al genere, i sintetizzatori e le pianole abbondano già in partenza e non ci abbandoneranno per tutta la durata dell’opera, se non in rarissime — nonché altrettanto brevi — occasioni. La successiva “Notturno Peregrinar”, la prima vera e propria canzone di Faunalia, prosegue su questi binari. Certo, la base di nero metallo d’atmosfera non cede di un millimetro, ma ci rendiamo conto prestissimo dell’evoluzione stilistica in atto. Il cantato di Agghiastru, primo ospite illustre di questa «dark Italian opus», rende il tutto ancora più particolare, sebbene il meglio (o forse il peggio) debba ancora veramente venir fuori.
“Anna Perenna” vede l’inserimento di più tastiere all’interno del contesto silvano, a discapito dei ritualismi più tipicamente paganeggianti; in questa occasione, l’elemento più in risalto è indubbiamente un assolo di sintetizzatori dal gusto ottantiano piazzato su un coro magniloquente, circondato dal resto degli strumenti sullo sfondo. Il prog rock italico è forte, in loro. Ed è proprio parlando di ciò che si arriva a una canzone tanto emblematica quanto complessa: “Magna Mater Maior Mons”, ovvero la seconda traccia più lunga del disco. I quasi quindici minuti della prova dal titolo con quattro M dimostrano come i Selvans si siano discostati piuttosto nettamente (almeno in questo contesto) dalle coordinate più tipiche del genere, nella cui nicchia si erano ritagliati uno spazio sicuro; sperimentare inserendo così tanti cori e sintetizzatori, montare ponteggi fatti di riff progressivi a collegare un picco e l’altro di questo rollercoaster di emozioni, cogliendo pure l’occasione per omaggiare il maestro Morricone qua e là. Non è affatto un’impresa da poco.
Gli ultimi due titoli in scaletta, “Phersu” e “Requiem Aprutii”, sintetizzano ed esplicano in maniera chiara — ma non esattamente concisa — quanto detto in precedenza. Se la prima incarna l’animo di Haruspex e Fulguriator ancora legato alla tradizione passata e più classica del progetto (pur sempre incorporando elementi innovativi), “Requiem Aprutii” è l’emblema vero e proprio di Faunalia. L’ultima traccia, la più lunga del lotto, è anche la più complessa, la più cinematografica, un po’ come nel caso dei Rhapsody, ma tutto in chiave occulta.
Si potrebbe dire ancora tanto altro sui brani di questo album, citando ad esempio gli sporadici riferimenti neoclassici presenti nelle composizioni, ma ho decisamente scritto già troppo. Il secondo lavoro dei Selvans, Faunalia, è in definitiva un disco meraviglioso, capace di raccontare il lato più oscuro della cultura italiana in maniera forse non proprio diretta ma indubbiamente incisiva. Tra misticismo e sacralità, dark ambient da cinema horror e black metal di stampo atmosferico, Haruspex e Fulguriator si cimentano in un’impresa ambiziosa senza mezzi termini, andando oltre i confini della loro precedente produzione e, a opinione di chi vi scrive, superandosi.