SEVEN SINS – Due Diaboli Et Apocalypse
Gruppo: | Seven Sins |
Titolo: | Due Diaboli Et Apocalypse |
Anno: | 2016 |
Provenienza: | Kazakistan |
Etichetta: | Satanath Records |
Contatti: | |
TRACKLIST
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DURATA: | 47:16 |
Ormai lo sapete: da queste parti ci è sempre piaciuto parlarvi di gruppi che arrivano da Paesi lontani. Arabia Saudita, Cina, Costa Rica, Algeria, Iran e decine di altri, ma stavolta tocca al Kazakistan. Nonostante l'etichetta da cui il disco è stato proposto non faccia impazzire nessuno qui in redazione, la curiosità di conoscere una band kazaka ha vinto sulle perplessità che circondano le uscite Satanath, non proprio sinonimo di qualità.
Diciamo subito che c'è della confusione in casa Seven Sins: il gruppo nacque originariamente nel 2008 e nel 2013 rilasciò il proprio debutto, "Obsessed With Violence"… Un album deathcore. Poco dopo i Cosacchi decisero di cambiare completamente genere di riferimento e di dedicarsi, a detta loro, a un black-death metal di matrice sinfonica. Qualche cosa porta poi i Seven Sins ad apparire nelle foto promozionali come gli ennesimi seguaci dei Behemoth (che pure di sinfonico non hanno nulla). Fin qui più o meno tutto bene: gruppi che cambiano genere ce ne sono a bizzeffe e sticazzi delle foto promozionali, dato che la sobrietà non ha mai fatto parte del corredo genetico del metal estremo, specialmente se ci sono delle tastiere di mezzo. La vera problematica è ciò che c'è effettivamente nel disco.
A onor del vero, non si può definire "Due Diaboli Et Apocalypse" un brutto lavoro: è divertente e tutto sommato intrattiene discretamente. I Kazaki picchiano ragionevolmente, hanno buon gusto nello scrivere le melodie e, in fin dei conti, confezionano un lavoro assolutamente promosso, nonostante la sua palese derivazione scandinava. Anzi, cercano anche di dare corpo a qualche afflato di personalità, con qualche melodia arabeggiante qua e là (i Cosacchi non sono Arabi, lo so, ma andatevi ad ascoltare "Avicenna", che colpa ne ho io?). La chitarra tratteggia assoli gustosi, tuttavia non lesina sulla costruzione di riff, magari non indimenticabili, ma che fanno la propria parte; il cantato, a tratti (però solo a tratti), ricorda da vicino quello di Shagrath dei dispersi Dimmu Burger e le tastiere strizzano molto l'occhio all'operato dei Norvegesi. Però quello dei Seven Sins non è black metal e io, come penso molti altri, sono abbastanza stufo di sentire dischi sedicenti black metal che poi finiscono per rivelarsi, come in questo caso, dei lavori che hanno molto più a che spartire con i Children Of Bodom che con qualsiasi band black nell'universo.
Il secondo disco dei Seven Sins è un album melodeath con enormi dosi di power metal di scuola, appunto, Children Of Bodom, Norther, Kalmah e compagnia briscola. Ogni tanto si incattivisce particolarmente ("Kabbalah"), talvolta lascia spazio ai cori femminili ("Mors Atra"), ma infarcisce sempre il tutto di assoloni e riff morbidosi che nulla hanno a che vedere con il black metal. Alla luce di ciò: se siete fan di Alexi Laiho e i gruppi di provenienza esotica vi incuriosiscono, fate un giro dalle parti dei Seven Sins (come sempre in casa Satanath, lo streaming completo del disco è sulla pagina Bandcamp), altrimenti lasciate perdere.