SHODAN – Death, Rule Over Us
Non si può che provare rispetto per quelle band che, anziché sfornare un disco all’anno, spesso con risultati nel migliore dei casi mediocri, decidono di investire anni in sala prove per affinare il proprio sound e la propria tecnica. È quanto hanno fatto i polacchi Shodan che con Death, Rule Over Us hanno dato un seguito al loro album di debutto, Protocol Of Dying, risalente al 2016. Uscito per Deformeathing Production, il nuovo full-length del terzetto di Breslavia si compone di sette episodi per un totale di circa quaranta minuti di buon death metal ricco di venature progressive. Rispetto all’uscita precedente, sempre molto gradevole, i Nostri hanno preferito sacrificare un po’ della propria aggressività in favore di una accentuata complessità all’interno dei singoli brani e di una maggiore eterogeneità tra di essi.
L’album si apre con una piccola intro ricavata da uno spezzone del film di Werner Herzog Aguirre, Der Zorn Gottes (Aguirre, La Furia Di Dio in italiano) che sembra voler anticipare la furia di “Breslau”. Il pezzo si presenta come una scheggia di rabbioso hardcore, con il suo tupa-tupa e riff di chitarra taglienti a cui si accostano in un paio di occasioni dei brevi assoli accattivanti. In modo del tutto improvviso, però, la velocità si riduce sensibilmente, mentre i tre passano a suoni meno spigolosi e più avvolgenti. Questi imprevedibili cambi di direzione costituiscono un po’ la cifra dell’album e sono disseminati per tutta la sua durata, specialmente nei brani più lunghi e strutturati, nei quali gli Shodan sembrano dare il meglio di sé.
Prendiamo ad esempio “Doomsday Melody”, che con i suoi otto minuti rappresenta l’episodio più lungo di Death, Rule Over Us e al tempo stesso anche il suo punto più alto. Dopo una partenza al fulmicotone in cui la batteria agisce come uno schiacciasassi, il pezzo sembra concludersi, ma in realtà riparte con un intermezzo melodico, in cui l’intervento delle pelli si riduce al minimo essenziale, mentre l’arpeggio delle sei corde si limita ad accompagnare il lavoro del basso, affidato a Tomasz Sadlak, già turnista live per i conterranei Hate. Il brano riacquista nuovamente energia nella sua conclusione, con un interessante rimando al groove, che è preponderante anche in “Fuel To Grandeur”. In tutto ciò la parte del leone è svolta da Szczepan Inglot, già cantante nei Banisher, che riesce ad accompagnare la sezione strumentale con il tono più adatto alla situazione, che si tratti di growl o parlato. Lo stesso si potrebbe dire anche di “I Crowned Myself”, altro episodio dal minutaggio impegnativo, che parte con un death metal quadrato, quadratissimo, che viene lentamente smussato da un crescendo di passaggi via via sempre più progressive e strutturati, senza disdegnare una brevissima deviazione su territori più motorheadiani, per poi chiudersi a cerchio riprendendo la furia dell’inizio.
Al netto di qualche piccola sbavatura, come certe cesure troppo nette in alcuni passaggi tra una influenza e l’altra, le intuizioni della band funzionano piuttosto bene. Death, Rule Over Us è un disco ben scritto, ben suonato e valorizzato da un ottimo lavoro in studio, grazie all’esperienza di Jakub Mańkowski, già ingegnere del suono per i Behemoth. Gli Shodan sono stati indubbiamente in grado di far fruttare al meglio questi quattro lunghi anni.