SIGH – Shiki
L’ultratrentennale e prolifica carriera dei giapponesi Sigh, di cui abbiamo parlato in un articolo dedicato e che conta praticamente una media di una pubblicazione all’anno (split, demo, EP o compilation che sia), si è arricchita di un nuovissimo tassello nemmeno un mese fa. L’ultimo arrivato in questione risponde al nome di Shiki ed è folle, rabbioso, pazzo perfino.
Seriamente, come in qualsiasi disco avantgarde che si rispetti in Shiki troviamo di tutto, a partire dal titolo, che ha una decina di significati diversi. In questo caso specifico sono due le traduzioni da tenere in considerazione, quattro stagioni e tempo di morire: la copertina, avente come tema un poema tradizionale giapponese, esprime in maniera emblematica questo concetto. Mirai Kawashima, uno dei due membri fondatori rimasti, spiega che si tratta di una metafora della sua vita, in cui la stagione corrente è l’autunno, con l’inverno — la morte? — alle porte e la promessa di una primavera futura, mostrata dall’albero di ciliegio in fiore, un classico ricorrente dell’arte giapponese e non solo. Il tema portante per i Sigh è macabro e oscuro, nonostante una copertina a prima vista colorata e che, almeno apparentemente, esprime calma grazie alla scelta di colori pastello.
Molto meno calmo, invece, il lavoro in sé. I testi sono interamente in giapponese, caratteristica che aveva cominciato a fare capolino nel precedente Heir To Despair del 2018. Anche la strumentazione utilizzata suggerisce un forte legame con le proprie radici, poiché assieme ai più comuni vocoder, synth, flauto e clarinetto compaiono anche strumenti tradizionali, come shamisen, shinobue e shakuhachi, che infondono in Shiki un’aura quasi solenne, nonostante le urla e le chitarre.
Mi sono chiesta, durante l’ascolto, se il disco sia heavy, prog, power o black, e la risposta è semplicemente sì. Qui probabilmente si va anche oltre l’avantgarde, poiché i Sigh toccano un estremo, poi tornano indietro, sembrano suonare la stessa roba per qualche minuto, ed ecco che compare a sorpresa il vocoder, o le tastiere, o i flauti. Mi verrebbe da denominare Shiki quasi più prog che avantgarde, a dirla tutta. Ammetto che normalmente avrei fatto un po’ di fatica a starci dietro, invece non so bene se sia perché col tempo ho fatto il callo a ben più di una stranezza o perché Shiki è eccezionalmente ben scritto, questa sensazione di smarrimento è totalmente assente.
Ed ecco che tradizione orientale e radici profonde si fondono con gusto inequivocabilmente occidentale, in un mix che funziona divinamente. Ci sono costanti evoluzioni e cambi di tempo e atmosfera che fanno sembrare Shiki quasi un unicum, mettendomi un po’ in difficoltà nella scelta dei brani più significativi. Sono comunque obbligata a menzionare almeno “Kuroi Inori” e “Touji No Asa”, il capo e la coda, perché sono quelli, entrambi strumentali tra l’altro, in cui la tradizione giapponese emerge maggiormente, col throat singing che introduce il disco e lo chiude, dopo uno strascico finale di armonici e melodie dolcissime. Assolutamente degno di nota anche “Mayonaka No Kaii”, traducibile con Uno strano incidente a mezzanotte, basato su un’esperienza successa a Mirai Kawashima, che afferma di aver sperimentato la mezzanotte due volte nella stessa nottata. Cosa intenda esattamente non mi è chiaro, ma il brano è corredato da un video animato a cui ha lavorato proprio lui, Costin Chioreanu.
Shiki dimostra che si può essere pieni di risorse anche dopo trent’anni di attività, che la normalità è sopravvalutata e che osare può portare a risultati più che soddisfacenti. I Sigh non possono e non devono passare in sordina.