SIVYJ YAR – Burial Shrouds
Meno di un anno e ci ritroviamo già a parlare del seguito di From The Dead Villages’ Darkness dei Sivyj Yar: Vladimir non opera variazioni di rotta e il suo progetto continua a solcare i mari del blackgaze più sofferto ed emozionale.
Ora sporcato da uno scream disumano, ora ibridato con malinconici riff post-rock dal retrogusto novantiano, sempre saldamente ancorato a una matrice melodica che non ha paura di rivelare tutti i suoi debiti nei confronti dell’onnipresente Alcest (si veda l’arpeggio centrale di “In Gray Izbas Ancient Rus’ Endures”, tra le altre cose), il progetto russo riconferma il proprio valore e nel 2015 ha probabilmente più cose da dire della suddetta icona francese. Ben vengano quindi pesanti rimandi e nessuna vera innovazione, purché la musica nella sua complessità rimanga sui più che validi livelli cui il Nostro ci aveva già abituato con il precedente album.
Burial Shrouds è un viaggio nelle atmosfere e nei paesaggi della Grande Madre Russia durante l’immane carestia che ne sferzò le terre occidentali (dall’Ucraina al Kazakistan e alla Siberia occidentale) tra il 1932 e il 1933, causando un numero imprecisato di morti; le autorità sovietiche non divulgarono mai i rapporti ufficiali, ma si parla di una tragedia che mieté tra i due e gli otto milioni di vittime. Come in passato, Vladimir sceglie di raccontare la storia della sua terra attraverso la propria musica, corredandola questa volta di immagini dal forte sapore della tradizione; meritano una particolare menzione i dipinti del tardo XIX secolo di autori russi a metà tra il realismo della quotidianità e il romanticismo dei freddi, sconfinati paesaggi dell’est, con cui è corredato il libretto.
Il risultato finale è una nuova, immaginifica immersione nelle pieghe di un Paese affascinate e carico di storia. Un’altra freccia della faretra di Sivyj Yar centra il proprio bersaglio.