I Sonata Arctica e il flop dell'Ora Nona

SONATA ARCTICA – The Ninth Hour

Gruppo: Sonata Arctica
Titolo: The Ninth Hour
Anno: 2016
Provenienza: Finlandia
Etichetta: Nuclear Blast
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TRACKLIST

  1. Closer To An Animal
  2. Life
  3. Fairytale
  4. We Are What We Are
  5. Till Death’s Done Us Apart
  6. Among The Shooting Stars
  7. Rise A Night
  8. Fly, Navigate, Communicate
  9. Candle Lawns
  10. White Pearl, Black Oceans (Part II: By The Grace Of The Ocean)
  11. On The Faultline (Closure To An Animal)
  12. Run To You [cover Bryan Adams]
DURATA: 01:02:04

Non è un mistero che le ultime pubblicazioni dei Sonata Arctica siano molto sotto tono rispetto al livello dimostrato una decina di anni fa con Reckoning Night, ma non si può ugualmente balzare a conclusioni affrettate e, viste le potenzialità espresse col precedente Pariah’s Child, ho provato ad ascoltare il nuovo The Ninth Hour, sforzandomi di non lasciarmi influenzare da alcun preconcetto. Ecco com’è andata, ma partiamo dal principio.

Da fan della band piuttosto devoto, quando è stato rilasciato il singolo “Closer To An Animal” ho avuto un po’ di paura, devo ammetterlo, perché temevo potesse essere auspicio di brutte notizie e presagio di un disco fallimentare. Così non è stato, anzi: ho trovato la canzone piuttosto gradevole; non una hit degna dei tempi d’oro della band, ovviamente (quelli, ahimè, son belli che finiti, oramai!), tuttavia sicuramente una traccia che avrebbe potuto anticipare un album potenzialmente positivo. E così ho sperato, ho sperato con tutto il cuore.

Ma non è servito ad alcunché. The Ninth Hour, nei suoi eccessivi sessantadue minuti di durata, non dà agli ascoltatori veramente nulla di nuovo e, anzi, sembra onestamente una versione addolcita di The Days Of Grays (“Everything Fades To Grey” vs “Closer/Closure To An Animal”: coincidenze? Io non credo), un disco che ha segnato un cambio (se non il cambio) netto nelle sonorità della band. Sebbene sia un lavoro maturo, porta ugualmente con sé anche una certa incertezza nella scelta del percorso che i Nostri stanno seguendo o hanno intenzione di seguire. Dopo Pariah’s Child, la presenza di venature Progressive all’interno degli arrangiamenti si è fatta più massiccia, e ora torna a imporsi anche una dose massiccia di sintetizzatori e di orchestrazioni che ricorda, appunto, The Days Of Grays e un po’ anche il precedente Unia. Non si può dire che dal punto di vista della tecnica sia un lavoro con delle debolezze, però lascia a desiderare la mancanza di vere e proprie esplosioni: niente più Speed Power, ragazzi, heippa hei!

Generalmente non sono e non so veramente essere negativo con i Sonata, ci tengo troppo, ma un paio di cosette vanno dette su alcune scelte fatte all’interno di questo loro ultimo sforzo. «Life is better alive»… Spero davvero di non essere il solo a essere rimasto deluso da un ritornello del genere, perché non è questo che mi aspetterei dai Sonata Arctica, per niente. E non è neppure questo il vero problema, anzi: magari lo fosse! Negli ultimi anni, diciamo da Reckoning Night in poi, la band si è — come dire — affezionata all’avere una traccia più lunghetta all’interno dei propri lavori, ed ecco come si è passati da “White Pearl, Black Oceans” e “Deathaura” a “Wildfire (Part II: One With The Mountain)” e “Wildfire (Part III: Wildfire Town/Population: 0)” fino ad arrivare a “Larger Than Life”. I già citati due remake della nota “Wildfire” sono stati di per sé una mossa azzardata e — personalmente — criticabile, ma il quintetto finlandese si è spinto ben oltre stavolta, ed è stata questa la goccia che ha fatto traboccare il vaso, il motivo principale per cui mi sono convinto del fatto che The Ninth Hour sia un flop: “White Pearl, Black Oceans (Part II: By The Grace Of The Ocean)”. Non serviva, non era necessaria e, anzi, “White Pearl, Black Oceans” se ne stava benissimo anche senza una parte due. In più, penso seriamente che “The Gratest Show On Earth” c’entri qualcosa con questo «We are alive» sul finale, perché se proprio devo dirlo “White Pearl, Black Oceans (Part II: By The Grace Of The Ocean)” sembra più essere una canzone da (nuovi) Nightwish piuttosto che da (nuovi) Sonata Arctica: c’è qualcosa che non va, senza ombra di dubbio.

Non spenderò ulteriormente tempo a commentare le altre canzoni in scaletta, non mi sembra il caso. Il nono album dei Sonata Arctica non è al livello né dei dischi storici né del suo più recente predecessore Pariah’s Child; piuttosto potrebbe essere al livello di Stones Grow Her Name, se non peggio; ed è veramente una bella lotta. Se siete fan della band come me e volete avere The Ninth Hour nella vostra collezione, fate una bella cosa, aspettate ancora un po’ e fatevelo regalare da qualcuno per Natale: non vale veramente la pena cacciare questi soldi di tasca propria.