SONS OF APOLLO – Live With The Plovdiv Psychotic Symphony
Come lui stesso ha provveduto a ricordarci a inizio mese, Mike Portnoy ha fatto parte più o meno a lungo di un numero tale di band da aver verosimilmente almeno un’entrata per ogni lettera dell’alfabeto. Certo, il suo nome sarà sempre legato ai Dream Theater, band che ha formato ormai più di trent’anni fa e con cui ha militato fino al 2010, e quasi per caso è proprio con il suo ex collega Derek Sherinian che ha messo in piedi i qui presenti Sons Of Apollo, un supergruppo come pochi.
La dicitura supergruppo, sia chiaro, fa onestamente un po’ schifo e ci dice meno di zero circa la qualità della proposta della band, ma mai come in questo caso ci fu termine più giusto per descrivere il quintetto. Questo perché, oltre a farne parte i precedentemente nominati ex batterista ed ex tastierista dei Dream Theater, i Sons Of Apollo hanno come bassista quel bontempone di Billy Sheehan dei Mr. Big (e alleato di Portnoy in svariate altre occasioni), come chitarrista il poco virtuoso Ron “Bumblefoot” Thal e come cantante Jeff Scott Soto, altro over cinquanta che può annoverare nel suo curriculum anni di collaborazioni con personaggi come Yngwie Malmsteen. Insomma, se non si fosse capito, i musicisti protagonisti di questo Live With The Plovdiv Psychotic Symphony non sono gli ultimi degli stronzi.
Fatta questa premessa, si può comprendere più facilmente come questi cinque allegri giovincelli siano così appassionati al prog rock-metal da mettere su uno spettacolo di oltre due ore e mezzo in Bulgaria, con un’orchestra sinfonica (la stessa che negli ultimi cinque anni ha assistito Anathema, Devin Townsend Project, Katatonia, Opeth e Paradise Lost), durante il quale hanno proposto brani originali tratti dal loro disco di debutto Psychotic Symphony del 2017 e dal successivo EP Alive alternati a cover d’altri tempi, spaziando dai Led Zeppelin ai Queen, da Van Halen ai Rainbow, fino al famigerato tema della Pantera Rosa firmato Henry Mancini. Chiaramente non potevano mancare gli omaggi alla formazione storica di Sherinian e Portnoy: dal decennale repertorio dei DT, i Sons Of Apollo hanno pescato in maniera molto attenta da Falling Into Infinity, lasciando invece intonsa quella mega-suite di “A Change Of Season” (alla cui registrazione aveva anche partecipato il tastierista californiano); ed effettivamente risentire “Just Let Me Breathe”, “Hell’s Kitchen” e “Lines In The Sand” proposte da una simile formazione è stato tutt’altro che sgradevole.
Messa così, certo, potrebbe sembrare che i brani originali scritti dai Sons Of Apollo siano insignificanti rispetto a quelli scelti come cover per l’occasione, ma non bisogna lasciarsi trarre in inganno. Certo, se il risultato dei primi due anni di attività come band dei figli di Apollo non aggiunge verosimilmente nulla di nuovo alla sfilza di dischi realmente fondamentali della storia del rock mondiale, è impossibile negare lo spessore di pezzi come “God Of The Sun”, “Alive” “Signs Of Time” o il conclusivo “Coming Home”. Probabilmente, anche in questo caso il modo migliore per descrivere la band è tramite un paragone all’esperienza dreamtheateriana: perché le sonorità che ci arrivano dall’ascolto del Live With The Plovdiv Psychotic Symphony sembrano essere un’evoluzione diretta di quelle degli album novantiani dei DT, mediate dall’approccio più hard di band come Fates Warning ma anche, mi verrebbe da dire, Symphony X ed Evergrey.
A rendere la gigantesca proposta di Live With The Plovdiv Psychotic Symphony ancora più appetitosa, poi, va considerato il formato iper-mega-lusso con cui il disco viene proposto al pubblico. Parlo impropriamente di disco, in realtà, in quanto i Sons Of Apollo, come avrete potuto immaginare, non si sono affatto contenuti, realizzando un triplo album più dvd infilati in un digipak slipcase grosso quanto il naso di Neige; se penso che esiste anche una versione mediabook di questa pubblicazione, mi vengono le vertigini. Perché il primo live album del quintetto è effettivamente un piccolo gioiellino che gli amanti del rock e del metal indifferentemente possono apprezzare: nelle quasi tre ore totali di musica su disco, così come nelle oltre due ore di performance catturata in DVD, Sherinian, Portnoy, Sheehan, Bumblefoot e Soto ci danno dentro come solo dei fan della vecchissima guardia del rock più puro possono fare. C’è passione, c’è grinta, c’è energia, c’è tutto quello che ci si può aspettare da un mattone del genere, tutto quello che si deve richiedere a un’uscita del settore.
Perché non puoi fare una cover dei Led Zeppelin o dei Rainbow e credere di poterla passare liscia, non puoi scomodare i Queen senza che ti venga detto niente, non puoi sperare di tenere legato un essere umano allo schermo o alle casse con più cover di quanti sono effettivamente i tuoi pezzi originali nella setlist. Non ce la puoi fare, a meno che tu non sia un over cinquanta con le palle d’acciaio e suoni nei Sons Of Apollo.