SPECTRAL DARKWAVE – At Outer Dark
A sei anni di distanza dal loro primo lavoro, gli Spectral Darkwave tornano finalmente sulle scene con un nuovo album. In apparenza fedele alla linea sonora già marcata dal predecessore Last First Contact, nell’ottobre del 2021 il trio londinese pubblica At Outer Dark attraverso la propria etichetta, la Occidental Records. Joe “Gunner” Stokes, Dan “Engineer” Kennedy e Steve “Arch-Kakoph” Kennedy si presentano come fantascientifici navigatori del tempo e dello spazio, pirati spaziali cyberpunk trasfigurati dai lunghi viaggi attraverso le tenebre, tra le stelle. Resi inoltre testimoni di tutte le atrocità che l’umanità ha portato con sé nella sua espansione nel cosmo, ora si fanno portavoce dell’orrifico vuoto siderale e dell’inevitabile entropia dell’universo.
A una prima analisi, si nota che At Outer Dark combina moltissimi fattori sia sonori che estetici. Non è infatti semplice applicare una sola etichetta per descrivere l’intricato lavoro che la band propone. Il loro death metal sinfonico si imbastardisce con molti elementi doom e industrial e l’impressione iniziale è di avere a che fare con una sintesi di diversi stili. Il complesso amalgama musicale che ne deriva dovrebbe riflettere inoltre la varietà di spunti narrativi raccontati nei testi fantascientifici. Alcune delle ricorrenze maggiori restano comunque i temi nichilistici, già centrali nel primo album, che in questo nuovo lavoro invece si trasformano, assumendo una connotazione completamente diversa e fantastica. Non è quindi il messaggio a essere cambiato, è la forma della composizione che sembra essersi evoluta.
Entrando nello specifico dell’ascolto, tuttavia, si incontrano le prime discrepanze tra l’immagine che gli Spectral Darkwave vorrebbero dare e quella realmente percepita dall’esterno. Il concept generale dell’album, così come la costruzione stessa dei pezzi, lascia intendere una visione molto cinematografica dell’esperienza; un po’ come si trattasse della colonna sonora di un film indefinito, oppure di un miscuglio di molti film o racconti da cui la band ha verosimilmente tratto ispirazione. Escludendo però tutto l’impeccabile contorno di atmosfere sintetiche, rumori meccanici e sinfonie melanconiche, troviamo un comparto di riff molto più accessibili e godibili di quello che ci può aspettare da un presupposto background così oscuro e folle come quello presentato. Anche il growl dell’Arch-Kakoph, seppur notevole e perfettamente in sintonia con l’atmosfera generale, purtroppo non riserva alcun mistero, né variazioni interpretative interessanti.
In aggiunta a ciò, non è stato possibile accedere direttamente ai testi delle canzoni o a qualsiasi altro approfondimento che potesse fornire informazioni o contesto. Ci si trova quindi costretti a immaginare questi suddetti viaggi spaziali attraverso gli elementi estetici più facilmente fruibili. Nella copertina, per esempio, si incontra l’ennesimo richiamo agli arcinoti miti di Cthulhu. In secondo luogo, possiamo prendere in considerazione il vestiario, simile a quello tipico di una Londra Vittoriana in declinazione steampunk: per quanto efficace e riconoscibile, la scelta di stile dà però l’idea di essere un richiamo palese a un pubblico prevalentemente geek-nerd, in quanto la subcultura steampunk è ormai una moda ampiamente affermata e trasversale.
Visti e considerati tutti questi elementi, l’ascolto diretto di At Outer Dark resta comunque l’unico vero modo di entrare in contatto con il mondo immaginario degli Spectral Darkwave. Sbucciando e sezionando i singoli estratti dall’album (“731”, “A Toll Is Due” e “Voyage Of The Necronaut”) e successivamente l’opera intera, si finisce inevitabilmente col trovare conferma di tutte le impressioni collezionate.
In sostanza, il sound del gruppo britannico è solido ed efficiente, anche se a volte pare virare sul prog mainstream piuttosto che sul black o il doom. I riff sono accattivanti, tanto che alcuni exploit sincopati risultano davvero orecchiabili, ma nel complesso pare non si voglia esagerare con la complessità e nemmeno con la profondità della composizione, pur avendone chiaramente le capacità. Unendo infine tutti i puntini tracciati, ne traiamo un disegno ormai abbastanza preciso: gli Spectral Darkwave si inseriscono in una subcultura affermata con ottimi argomenti, una produzione professionale e soprattutto un’astuta dose di apparenza. Il lato negativo invece è che si ha l’impressione che la band punti a soddisfare un po’ tutti i gusti, risultando quindi a tratti forzata e artificiale.