STRAIGHT HATE – Black Sheep Parade
Il grindcore è un genere che ho ascoltato fino allo sfinimento quando ero più giovane. Per un tardo adolescente di provincia non poteva esserci valvola di sfogo migliore di un qualcosa che aveva ereditato l’aggressività e l’urgenza comunicativa del punk portandole a un livello ancora più estremo. Col tempo, poi, ho iniziato a preferire altri tipi di musica, più introspettivi, ma ancora adesso posso apprezzare un disco grind fatto come si deve. È il caso di Black Sheep Parade dei polacchi Straight Hate, uscito l’anno scorso su Deformeathing Production.
A tre anni di distanza dal precedente Every Scum Is A Straight Arrow, il quartetto polacco è tornato con sedici bordate di rabbia al fulmicotone condensate in poco meno di mezz’ora. A giudicare dalle informazioni contenute nel booklet, la genesi di questo album sembra essere stata piuttosto complicata: batteria, strumenti a corda e voce risultano infatti registrati in tre diverse sessioni, ognuna in uno studio di registrazione differente, in un lasso di tempo che va dal gennaio 2018 al marzo del 2019. Non ho trovato altre informazioni in merito, ma poco importa, perché il risultato è un’opera a dir poco impattante.
Il grindcore degli Straight Hate è in bilico tra il minimalismo hardcore dei Rotten Sound o dei primi Nasum e le concessioni al metal dei Napalm Death, con una continua oscillazione tra questi poli per l’intera durata dell’album. In alcuni brani emerge poi una innegabile passione per la vecchia scuola svedese — gli stessi polacchi citano tra i loro riferimenti gli Entombed — sia per i suoni delle sei corde che per il growling cavernoso del cantante. Non mancano incursioni verso altri lidi musicali, come il brutal death della title track fino ad arrivare a una manciata di secondi dal retrogusto jazz in “Bastard”.
Punto di forza di Black Sheep Parade è senza dubbio la qualità della registrazione, che permette di apprezzare il lavoro di ogni componente della formazione, in particolar modo la batteria. Alle pelli Wizun riesce a gestire in modo magistrale i passaggi dalle sfuriate di blast beat a momenti mid-tempo e viceversa, mostrando l’esperienza accumulata in altre band come Ulcer e Blaze Of Perdition. È proprio il vocalist di questi due gruppi, Sonneillon, a prestare le sue corde vocali in “Above The Law”, unico brano in cui compare una collaborazione esterna.
Black Sheep Parade ha tutti gli elementi che un disco grindcore dovrebbe avere. È veloce, è rabbioso e va diritto al punto urlando nelle orecchie dell’ascoltatore un concentrato di delusione e frustrazione verso il mondo e la società. Gli Straight Hate, dal canto loro, dimostrano di saper maneggiare diverse influenze, senza però riuscire a creare un sound proprio. Vista l’evoluzione in positivo tra i due album, credo che non sia un problema insormontabile, anzi: le capacità per farlo ci sono, quindi non ci resta che aspettare il prossimo disco.