STRYCHNOS – A Mother’s Curse
Al debutto degli Strychnos avevamo accennato lo scorso settembre sulla nostra rubrica Extrema Ratio, quando Dark Descent lo annunciò in uscita per la fine dell’anno. Siccome i danesi hanno impiegato un quarto di secolo circa per mettere insieme il disco, anche noi ci siamo presi del tempo, e arrivo a parlarne a qualche mese dall’uscita.
A Mother’s Curse è il primo album in studio degli Strychnos, nonostante la formazione di Copenaghen sia formalmente attiva dal 1998 e abbia lungo questo interminabile periodo di tempo pubblicato qualche sparuto demo ed EP. A impedire il completamento dei lavori del disco probabilmente ha concorso anche il fatto che i tre musicisti, ormai arzilli ultraquarantenni, sono e sono stati attivi in vari progetti della scena danese: il bassista e cantante Martin Leth Andersen è parecchio impegnato con gli Undergang, il batterista Nis Rode Larsen fino a qualche anno fa era in forza ai Cerekloth e il chitarrista Andreas Lynge — tra l’altro proprio insieme a Larsen — era parte degli Usipian. Insomma, personaggi musicalmente abituati a proporre mazzate nei denti che, archiviata parte delle altre esperienze, hanno trovato il tempo di dedicarsi a quella che è forse la loro band più risalente e allo stesso tempo meno produttiva.
Arriviamo quindi ai quaranta minuti di A Mother’s Curse, un concentrato di cattiveria e violenza che scalda il cuore. Il lavoro degli Strychnos parla di traumi, di madri che perdono i propri figli, di demoni in cerca di vendetta, e lo fa sulle note di un death metal ferale e dai forti rimandi black, perfettamente in linea con quanto messo in mostra in copertina dall’illustrazione di Daniel “Desecrator” Corcuera (già al lavoro per gentaglia tipo Cruciamentum, Blaspherian, Horna, Qrixkuor e tanti altri). Riff grossi e densi come mattoni si susseguono senza posa uno dopo l’altro, contribuendo all’atmosfera malsana e tormentata dell’opera, ma dandogli allo stesso tempo delle fattezze molto concrete, lontane dai tecnicismi e dalle astrazioni quasi progressive che oggi vanno per la maggiore nel death metal.
In altre parole, gli Strychnos sono qui per permettere a tutti noi di prenderci una pausa dai VoidCeremony e dagli Ad Nauseam, per farci tornare ad apprezzare le legnate dritte, gli schiaffoni in pieno volto. A Mother’s Curse è un lavoro terra terra, un insieme di canzoni che non cerca i Grandi Antichi né indaga le grandi domande del cosmo, tuttavia riesce a mantenere sempre alta la soglia di attenzione grazie a un’ottima varietà compositiva. Atmosfere e melodie non mancano mai, e ogni brano ha i propri punti di forza, però è doveroso citare “Horror Sacred Torture Divine”, il cui climax finale dovrebbe essere studiato in tutte le scuole di death metal del mondo.
Corna altissime quindi per gli Strychnos, che mi auguro non impieghino altri venticinque anni per dare un seguito ad A Mother’s Curse.