SUBTERFUGE – Philosopher
Qualche settimana fa stavo riascoltando con sommo gusto una delle canzoni di Caparezza che mi galvanizzano maggiormente, cioè “Kevin Spacey”. Era tutto molto bello, finché mi sono resa conto della presenza di un paio di versi in cui il Capa spoilera malamente il finale di Shutter Island, un film che — con mia estrema vergogna — ammetterò di non avere ancora visto, nonostante rientri tra i titoli che da diversi anni mi riprometto di guardare. Ho provato una sensazione di imbarazzo simile quando ho aperto il booklet di Philosopher, il terzo disco dei polacchi Subterfuge, e mi è stata spiattellata davanti agli occhi la triste verità, ovvero il fatto che il suddetto album conclude una trilogia iniziata nel 2016 con Projections From The Past e sviluppatasi poi con Prometeus del 2018.
In questo caso però devo dire di essere stata più ligia al dovere e ho cercato di ricostruire, almeno in parte, le vicende narrate dai Subterfuge, scoprendo così come tutto ruoti attorno alla figura di un “eroe” che, amareggiato e disilluso dalla realtà, decide di prendere parte a un esperimento scientifico che lo porta a risvegliarsi in un mondo desolato, devastato dalla guerra nucleare e governato da creature mutanti. Le vicissitudini che costui vive in questo universo alternativo lo porteranno a compiere delle scelte cruciali che finiranno per influenzare irrimediabilmente il suo destino e quello dell’umanità intera.
Considerate le tematiche a cavallo tra distopia ed elucubrazioni filosofiche, la direzione musicale intrapresa dai Subterfuge non dovrebbe sorprendere più di tanto: le prime tracce di Philosopher sono tra le più complesse del disco e traghettano in maniera efficace verso quella dimensione estranea alla realtà conosciuta che viene ben rappresentata anche dall’artwork; con le dovute proporzioni, durante l’ascolto mi è venuto in mente più volte The Sham Mirrors degli Arcturus.
Il mood arzigogolato e a tratti sognante tracciato dai primi brani di Philosopher viene bruscamente interrotto da “A New Kind Of People”, che porta invece i Subterfuge a virare verso sonorità molto più graffianti e vicine all’heavy metal classico, dove la voce di Kinga Lis assume un ruolo decisamente preponderante rispetto alla prima parte dell’album e anche gli assoli di chitarra diventano più perforanti e accorati. Proseguendo nell’ascolto, l’aspetto onirico e quello più concreto si fondono e vengono ulteriormente arricchiti dalla presenza di momenti che procedono a un ritmo decisamente sostenuto, a volte sconfinando nello speed metal (“Conflict”), a volte guadagnando terreno in termini di pesantezza, come avviene all’interno di “Philosopher”, altre volte tradendo invece questo paradigma, ad esempio quando “No Epitaphs” cita il Lacrimosa di Mozart per poi trasformarsi in un brano heavy metal incendiario costellato di tastiere che tendono decisamente verso il prog.
Ascoltando Philosopher, non ho trovato difetti di fondo: nonostante il concept sia ben lontano dall’essere innovativo e originale, è un buon disco e fotografa una band a cui le capacità non mancano. Devo ammettere che a questo giro i Subterfuge non sono riusciti a trapassare quella coriacea parete che separa i dischi belli in modo generico da quelli belli belli in modo assurdo, però poco importa: per vedere le cose da una prospettiva diversa basta guardare alla realtà distopica più vicina, dove la strategia di sopravvivenza ideale per gli individui non è quella di iniziare le storie auto-spoilerandosi il finale.