Suffer Yourself - Rip Tide

SUFFER YOURSELF – Rip Tide

Gruppo: Suffer Yourself
Titolo: Rip Tide
Anno: 2021
Provenienza: Svezia
Etichetta: Aesthetic Death
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TRACKLIST

    1. Spit In The Chasm
    2. Désir De Trépas Maritime (Au Bord De La Mer Je Veux Mourir)
    3. UGASANIE – Submerging
DURATA: 32:54

È tempo di graditissimi ritorni su queste pagine, a patto che sofferenza e bradicardia siano le tue migliori compagne di vita: con il terzo disco Rip Tide, i Suffer Yourself sembrano andare avanti a passi decisissimi verso il compimento di un destino che pareva segnato già agli albori. Con l’ucraino Stanislav Govorukha saldamente al timone e le sapienti mani del signor Greg Chandler addette questa volta al mastering, i Nostri si sono finalmente accasati nelle campagne inglesi alla corte di Aesthetic Death, che proprio agli Esoteric diede i natali quasi trent’anni fa.

Forti di un nuovo logo che abbraccia l’illeggibilità e di una bella incisione ottocentesca in copertina, i quattro confezionano a conti fatti due ottimi brani ben distinti tra loro. Il primo è “Spit In The Chasm”, un macigno di oltre venti minuti che spunta tutte le caselle tipiche del funeral doom, aggiungendo qua e là un pizzico di marciume death che non guasta mai. Un’esaustiva vetrina sulle varie sfaccettature del genere: tra un riff granitico e un’estemporanea raffica di doppia cassa, immersi in riverberi infiniti e annichiliti dalla voce cavernosa di Govorukha, i minuti scorrono lentamente nel senso letterale della parola, ma anche in fretta.

Bellissimo anche il violoncello a metà canzone ad opera di Jiro Yoshioka, uno dei protagonisti anche in “Désir De Trépas Maritime”: il nerissimo metallo lascia spazio ad altrettanto nere atmosfere cimiteriali, con pianoforte dissonante e un inquietante recitato in francese che culla e traghetta l’ascoltatore verso la fine. “Submerging” — opera del bielorusso Pavel Malyshkin, in arte Ugasanie — chiude il disco con quasi quattro minuti paesaggi sonori desolati e minimalisti.

Govorukha e soci tengono nuovamente fede al loro nome, facendo bella figura anche al cospetto del gotha del genere. Certo, appena mezz’ora di musica è davvero poca roba rispetto agli standard del filone e anche ai primi due dischi dei Suffer Yourself, ma se le premesse per il futuro sono quelle sentite — soprattutto — nella traccia di apertura, c’è solo da rallegrarsi. Non troppo, mi raccomando.