SYLVAINE – Nova
Il linguaggio è una peculiarità meravigliosa dell’essere umano, molto spesso data per scontata o soggetta a convinzioni che partono da presupposti errati, tipo che due persone che parlano la stessa lingua riusciranno sicuramente a capirsi. Niente di più lontano dalla realtà. Le parole sono un mezzo che usiamo per esprimere il nostro mondo e non sempre siamo in grado o sappiamo tradurlo come si deve, vuoi per incapacità, vuoi per timore, vuoi per mille altri motivi. Per questa ragione sento di dover fare un plauso a Sylvaine, al secolo Kathrine Shepard, per essere riuscita a scrivere e suonare un disco permeato da una profonda intimità che è assolutamente impossibile ignorare.
L’impatto lasciato dal Covid su Sylvaine è stato duplice: se da una parte il virus ha bloccato l’attività dal vivo e creato difficoltà a livello pratico sugli artisti di tutto il mondo, dall’altra l’artista norvegese — asmatica dalla nascita — ha avuto la sfortuna di contrarlo, finendo costretta a rimanere in isolamento. Il progetto di un nuovo album che fungesse da successore a Time Without End aveva iniziato a prendere forma nel 2019 e ha continuato il suo percorso anche nei due anni a venire, intersecandosi con una perdita personale nella vita di Sylvaine. Tutti questi elementi convergono in Nova, un lavoro profondo, sofferto, permeato di un dolore da cui emerge malinconia, ma anche accettazione. Pure dai momenti più bui può affiorare qualcosa di bello, e Nova bello lo è senza dubbio alcuno.
Va detto subito che i fan dell’innovazione a tutti i costi potrebbero non restarne soddisfatti, d’altra parte però non si può — né deve, probabilmente — avere la pretesa di stravolgere il mondo musicale con ogni disco che viene pubblicato. Sylvaine è una polistrumentista, cantante e compositrice che definisce il suo genere come ambient-post-metal, è altresì impossibile non notare in Nova echi blackgaze profondi dei migliori Alcest, sia negli arrangiamenti che nella cura delle armonie vocali. Tappeti di delicati ed eteree voci si stratificano nella maggioranza dei brani, a partire dalla title track che consta di sole voci registrate a cappella, composte durante la degenza causata dal Covid e che cantano in una lingua che non esiste. I passaggi in un acidissimo scream non sono molto numerosi, ma comunque presenti e ben eseguiti.
Nova contiene sei tracce più una bonus, tutte legate dall’indissolubile filo della perdita e della mancanza di punti di riferimento per orientarsi in questa vita; è impossibile però non percepire e intuire la speranza, la voglia di ricominciare. Non per niente il titolo fa riferimento a qualcosa di nuovo che emerge dalle ceneri di quanto precedentemente presente. I cori che introducono Nova sono ispirati all’entrata nella tolkeniana Lothlorien, e a questo punto la citazione «I looked into your future and I saw death», «But there is also life», meme a parte, acquista un significato facilmente adattabile al messaggio che Sylvaine voleva veicolare.
Tra le tracce più degne di nota, secondo una scelta prettamente personale, figurano “Nova”, “Mono No Aware” (espressione giapponese intraducibile letteralmente, sempre a proposito dei limiti del linguaggio, che esprime partecipazione alla bellezza della natura) e “Fortapt”, giusto perché sono una grande estimatrice dei tappeti vocali e non potevo non nominarla. Nova resta comunque un continuum con una sua logica e consequenzialità, da godersi tutto d’un fiato.
Sylvaine afferma che la parte strettamente lirica dei brani ha per lei un’importanza fondamentale, tuttavia qualora dovesse rivelarsi insufficiente sono i suoni a parlare. Del resto, citando le sue parole, «la musica è il tentativo di evitare quelle parole che non sempre riusciamo a esprimere nella vita». Il linguaggio ha dei limiti, la nostra anima — potenzialmente — no.