TAXI CAVEMAN – Taxi Caveman
Con l’esordio dei Taxi Caveman, lo devo ammettere, mi sono trovato di fronte a uno di quei rari casi in cui il particolare design della copertina, con il suo mix di pterodattili e taxi spaziali mal disegnati, ha rischiato di compromettere il mio ascolto. Per non parlare di quando ho scoperchiato l’interno del digipak, un miscuglio tra un compito di arte delle elementari e un trip da mescalina. Cosa poteva esserci dietro quella illustrazione così pacchiana? Devo dire che, peccando ovviamente di eccessivi pregiudizi, ero molto scettico, aspettandomi un disco stoner provinciale e ritrito. Ebbene mi sbagliavo, sicuramente sulla maggior parte dei miei timori.
Come avrete capito tutti Taxi Caveman è un disco stoner, di un trio polacco al debutto discografico per l’esattezza, e sembra emettere quelle vibrazioni deliranti e grottesche che ci si aspetterebbe dai Melvins; e in effetti l’album si dimostra basato su una formula già rodata da parecchi anni, ossia una fusione quanto mai naturale tra stoner e sludge, un mix ben bilanciato di psichedelia e assalto sonico. Devo dire che ciò che mi ha colpito sin dal primo accordo di chitarra è proprio la potenza, e ancor più la splendida ruvidezza, dei suoni. Ogni brano, dall’intro travolgente di “Building With Fire” fino alla autostrada sonica di “Empire Of The Sun”, emana un olezzo di anni ’90 che molto raramente riesce a essere ricreato dai musicisti contemporanei dediti a queste specifiche sonorità. Un calderone in cui Melvins, Kyuss, High On Fire e Black Sabbath vengono cotti a bollore lento, conditi da una valanga di distorsioni (fuzz in primis, ovviamente) e da uno stile di registrazione esplosivo.
Un disco, quello dei Taxi Caveman, che vola e colpisce in sola mezz’ora, dispensando momenti di pura psichedelia doom (si veda la conclusiva “Empire Of The Sun” e i suoi dodici epici minuti di lunghezza) alternati a cavalcate colme di una barbarità che definire preistorica risulta doppiamente azzeccato. Una volta terminato l’ascolto la seconda volta, e dopo aver raccolto i pochi miei pezzi rimasti attaccati sul paraurti di Bartosz, Piotr e Vincent, le conclusioni stravolgono l’affrettato giudizio espresso di primo acchito. Il debutto del power trio polacco riesce a superare il test sulla musica con ottimi voti, grazie a una produzione e ai suoni pieni di carattere, splendidamente grezzi e sgangherati. Una presa di posizione spesso controcorrente, rispetto alla ricerca maggioritaria di suoni puliti e quasi artificiosamente luccicanti da parte delle band attuali. E invece proprio tra guano di pterodattilo e polvere di stelle si situano i Taxi Caveman, su una strada che mi auguro si riveli il più lunga possibile.