TEMPLE OF DEIMOS – Temple Of Deimos
Gruppo: | Temple Of Deimos |
Titolo: | Temple Of Deimos |
Anno: | 2010 |
Provenienza: | Italia |
Etichetta: | Elevator Records |
Contatti: | |
TRACKLIST
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DURATA: | 35:05 |
Nella vita capita anche di fare figure del cavolo, no? Solita notte insonne, giro sui vari Space in ascolto, ormai è una piacevole routine che da anni va avanti; incrocio quello dei Temple Of Deimos, un paio di pezzi e via, scatta il messaggio per aprire i contatti, sono talmente rinco dal sonno che invio il testo in inglese e la band di dove poteva essere se non italiana (Genova)? Un classico. Mi risponde gentilmente il cantante Fabio Speranza e altrettanto gentilmente m'informa che il disco è uscito nel 2010, ma me ne invierà ugualmente una copia e poi si fa altre due chiacchiere, parlando del più e del meno e di una scena italiana che potrebbe sempre far meglio.
Arrivato il cd lo inserisco, bastano le prime note a farmi saltare all'orecchio l'influenza portante di tutto l'album omonimo: i QOTSA. Joshua Homme è uno di quei personaggi che una volta entrati in circolo difficilmente te ne liberi. La lezione del suddetto è stata assorbita in maniera efficace e Fabio in compagnia di Federico Olia (basso e voce) e Andrea Parigi (batteria) mette insieme un disco di dodici tracce che ha il pregio di suonare alla grande e il difetto di suonare alla grande in stile primi tre lavori di quella band. È sin troppo facile identificare in quelle opere il riferimento più netto, è però così gradevole il fluire delle note e intanto qui e là appaiono altre presenze come Muse, Foo Fighters e qualcosina di rimando ai Masters Of Reality ad arricchire il piatto.
Momenti più robusti risiedono in "Supertransitor" e "Gulp Me Down", venature space e quel pizzico di psichedelia che non guasta mai si fanno strada in "Senor Bang", l'appeal melodico diviene prominente in "Oh Hellen", contrastando gli attimi più scuri di canzoni come "It's Beautiful When I Die" e "Fields Of Berries", permettendo alla sincera ma devota attitudine che oscilla costantemente fra lo stoner rock più fruibile e frangenti pop veri e propri di venir fuori con semplicità. La voce di Fabio è sottile, flebile in alcune circostanze, decisamente lontana da ciò che solitamente uno si attende di ascoltare impiantata su pezzi simili, eppure il suo sporco lavoro lo fa, bisogna solo abituarsi.
Per il resto non ci sono grandi pecche in "Temple Of Deimos", è un lavoro che mette in mostra una formazione in possesso di tutte le carte in regola per far bene, però distaccarsi dalla casa madre e fornire un pizzico di personalità propria sarà fondamentale per effettuare un salto di qualità necessario per restare a galla. Non è facile, ma utile per spiccare il volo, lo è ancor più che limare alcune ripetizioni di una scrittura di per sé vicina alla maturità.
La lista delle realtà italiane da seguire si allunga ulteriormente, i Temple Of Deimos entrano a farne parte e gli ascoltatori delle realtà citate nel testo farebbero bene a dedicare loro un po' di tempo e segnarsi questo nome, sperando ci giungano presto buone nuove che li riguardano.