The Breakbeast - Monkey Riding God | Aristocrazia Webzine

THE BREAKBEAST – Monkey Riding God

Gruppo: The Breakbeast
Titolo: Monkey Riding God
Anno: 2021
Provenienza: Italia
Etichetta: Overdrive Records
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TRACKLIST

  1. The Trickster Who Invented Xenofunk
  2. Deepengo
  3. Cop Porn
  4. Phunk Is Not Dead
  5. A Thousand Elephants Are Shitting On Wallstreet
  6. Ending Anthroposcene From A Monkeys’ Rave Party
  7. Nomadic War Machine
DURATA: 37:51

The Breakbeast è un progetto nuovo di zecca, un power trio fatto di basso, sassofono e batteria composto da individui già noti nella scena musicale italiana. Dietro le pelli abbiamo Alessandro Vagnoni (la cui potenza sonica è testimoniata dalla sua partecipazione a progetti come Bologna Violenta e Ronin), al sassofono Sergio Pomante e al basso-voce Mario Di Battista, (entrambi con esperienze in Ulan Bator). Con il loro disco di debutto uscito per Overdrive Records, Monkey Riding God, il gruppo ci propone una formula esplosiva che collega le frange più estreme della musica punk-hardcore con le sfumature sperimentali proprie dell’industrial e del jazz.

Un trip psicotropo che si snoda in sette tracce, per una lunghezza complessiva di circa trenta minuti, e che esprime un potenziale compositivo pressoché infinito. Anche parlare delle singole tracce risulta molto complicato, avendo queste ultime una flessibilità e una imprevedibilità sconcertanti. Su “Cop Porn”, per esempio, si assiste a uno scambio di colpi tra il funk e l’industrial, con groove irresistibili che in men che non si dica si deformano in ritmiche e distorsioni abissali; batteria e sassofono alternano stati di isteria a sezioni cadenzate e lineari con grande disinvoltura, accompagnati da un basso che si staglia fulmineo con sonorità mastodontiche. Nel mezzo di questo stormo di suoni fa capolino anche l’hip hop duro e crudo, che lascia le sue tracce in diversi brani e che si esplica pienamente su “Deepengo”, con la parte centrale del brano lasciata al microfono esperto di EGreen.

“Ending Anthroposcene From A Monkeys’ Rave Party” si presenta come uno dei brani più completi del disco, mettendo in mostra al suo interno un po’ tutte le sfumature che compongono il mosaico delirante dei The Breakbeast; il funk più grottesco e sgraziato (che ricorda i primi Primus) si infrange su tempi dispari e vortici di sassofono, sublimandosi nella cavalcata che segna l’inizio della seconda metà del brano. Particolari complimenti vanno fatti anche alla sezione ritmica, che cuce insieme pelli e sintetizzatori donando ai brani un ventaglio di sonorità e di atmosfere profondissimo.

Tirando le somme e senza intaccare con parole superflue la maggior parte delle sorprese, si può affermare che la formula dei The Breakbeast e del loro debutto discografico è un toccasana per la scena musicale italiana, andando a ripescare e a donare nuova linfa a generi appartenenti all’underground e sempre meno presenti nella scena contemporanea. Monkey Riding God è un disco complicatissimo, ricco di sfumature, ma allo stesso tempo di grande immediatezza, tale che riuscirà a stregare un grandissimo numero di ascoltatori. Dal punk più intransigente al fan del jazz, dal patito dell’industrial fino all’estimatore del prog e, perché no, anche ai nostalgici del hip hop vecchia scuola. Un progetto giovane che ha gettato delle solidissime basi su cui innalzare, speriamo il prima possibile, strutture ancora più esasperate ed imprevedibili: dopotutto, «p(h)unk is not dead».