THE END OF SIX THOUSAND YEARS – The End Of Six Thousand Years
C’è qualcosa che colpisce i gruppi italiani in crescita, dove per crescita si intende qualcosa di indefinito che permetta più o meno a un artista di arrivare campare della sua arte. The Secret, Klimt 1918, Novembre, band che per un motivo o per l’altro sembravano avviate verso una carriera sfavillante e poi sono sparite dalle scene per cinque, otto, dieci anni. Ecco, alla lista da ora possiamo aggiungere i The End Of Six Thousand Years, tornati dalla tomba dopo una storia interrottasi sul più bello nel 2012, alla pubblicazione dell’album Perpetuum.
Undici anni, di cui molti passati in completa inattività, hanno portato il gruppo italiano a rimaneggiare parzialmente la propria composizione, che oggi vede i tre membri fondatori Nicola Donà, Matteo Borzini e Luca Dalù rispettivamente a voce, batteria e basso, accompagnati da Gianmaria Mustillo (Hierophant) e Michele Basso (già in Formalist, Malasangre e Viscera///) alle chitarre. Questa formazione a cinque rompe il silenzio con un nuovo, omonimo EP forte di tre brani inediti e una cover dei Today Is The Day, per una ventina di minuti scarsi totali mixati dalle sapienti mani dell’attivissimo Gabriele Gramaglia (Cosmic Putrefaction, Vertebra Atlantis e non solo).
A dispetto degli anni trascorsi e dei cambi alle chitarre, il sound dei The End Of Six Thousand Years è rimasto per la maggior parte invariato, legato a un ibrido tra post-hardcore, black metal e dissonanze di sorta. Rispetto al passato, sono forse queste ultime a essere più presenti nell’economia della band, e a farne le spese sono i momenti più melodeath degli esordi, in queste tre tracce pressoché abbandonati. Diciamo che le tre nuove canzoni continuano con grande coerenza il percorso di Perpetuum, e quindi si allontanano ancor più nettamente da I§olation, l’ormai lontano debutto datato 2008. I TEOSTY nel 2023 sono complessi, arzigogolati, le strutture dei loro brani non sono mai scontate né lineari, e i testi di Donà si inseriscono perfettamente in questo contesto con immagini intime, sofferte e decisamente cupe.
È lo stesso quintetto a dire che The End Of Six Thousand Years rappresenta un nuovo inizio, ma va da sé che un EP da tre tracce, per quanto valido, sia decisamente poco per dare un parere a tutto tondo. Certo è che quello che il gruppo mette in campo funziona e ha tutte le caratteristiche per farsi notare all’interno del panorama post-, staremo a vedere se a questo quarto d’ora di musica inedita farà seguito qualcosa di più corposo.