THE MAGIC DOOR – The Magic Door
Roma, 1680 circa. Secondo la leggenda, il marchese Massimiliano Palombara ospita nella propria residenza un pellegrino, poi identificato come l’alchimista Francesco Giuseppe Borri, il quale trascorre la notte cercando nel giardino della villa un’erba misteriosa con cui produrre l’oro. Il giorno seguente il marchese, desideroso di conoscere i segreti del pellegrino e impaziente di un nuovo incontro, viene tuttavia a conoscenza del fatto che l’ospite è stato visto scomparire attraverso una porta, lasciando dietro di sé alcune pagliuzze d’oro (risultato di una trasmutazione alchemica) e un misterioso manoscritto contenente simboli enigmatici e sette epigrafi. Convinto che tali elementi possano svelare i segreti nientemeno che della celeberrima pietra filosofale, il marchese tenta a lungo di decifrarli, ma fallisce nel proprio intento e — con la speranza che un giorno essi vengano decodificati — fa quindi incidere gli indizi lasciati dal pellegrino sulle porte della propria casa. Una di queste porte diviene, in seguito, un monumento — ancora visitabile nella Città Eterna, per la precisione nei giardini di Piazza Vittorio — oggi conosciuto come Porta Magica (o Porta Alchemica).
Questo preambolo è utile per collocare a livello concettuale il debutto eponimo dei The Magic Door, gruppo nostrano formato da Giada Colagrande, Arthuan Rebis e Vincenzo Zitello. Il trio, rifacendosi appunto alla leggenda di cui sopra, ha realizzato un concept che risulta essere a tutti gli effetti un viaggio tra i segreti della Porta: attorno a ognuna delle sette epigrafi viene costruito un pezzo, con l’aggiunta di una “Intro” (al cui interno viene raccontata la vicenda dal punto di vista del marchese Palombara stesso), di un interludio di percussioni (“Ancient Portal”) e di un “Epilogue” in cui, idealmente, il pellegrino declama in lingua originale le conoscenze lasciate prima di scomparire.
A livello musicale, The Magic Door è un album che si snoda agevolmente, con grazia e carattere, tra le pieghe del folk e della world music, donando a ogni episodio un’identità ben definita: intrecci di voci formanti un’incantevole matassa di delicate e bucoliche atmosfere oniriche (“Saturnine Night”, “Vitriol”), suggestivi echi orientali (“Jupiter’s Dew”), un misticismo etereo e toccante (“Mercury Unveiled”, “Venus The Bride”), movenze quasi noir (“Water Of Mars”) e momenti di leggiadra e affascinante decadenza (“Sun In A Flame”). Tuttavia, sebbene ogni traccia possieda caratteristiche ben definite, l’opera è realizzata per essere intesa come un insieme di visioni e atmosfere strettamente correlate tra loro, le quali costituiscono probabilmente una sorta di viaggio iniziatico tra antiche conoscenze.
L’estro e la maestria compositiva del trio — impreziosita dagli incantevoli intrecci tra le voci di Giada e Arthuan e dal nutrito numero di strumenti utilizzati (dal bouzouki all’arpa celtica, dal theremin allo xaphoon) — rendono questo disco a dir poco magnifico. The Magic Door prende le sembianze di un caleidoscopio di visioni mi(s)tiche che, tramite simbolismi ben precisi e riferimenti a una certa cultura esoterica, mescola storia e leggenda, formando un album avvincente e interessante, molto ispirato sia nella forma che nei contenuti. I The Magic Door hanno dunque partorito un debutto veramente splendido, un’opera di enorme spessore che farà certamente innamorare gli amanti di tali sonorità, ma che possiede una forza evocativa tale da poter colpire profondamente anche coloro i quali si dedicano abitualmente a stili musicali completamente differenti.