THE OCEAN COLLECTIVE – Phanerozoic II: Mesozoic | Cenozoic
La prima parte di Phanerozoic dei The Ocean, uscita un paio di anni fa, è ciò che mi piace definire disco dell’anno, ogni anno, insieme a uno sparuto gruppo di altre opere. Dato l’annuncio immediato come un lavoro diviso in due parti, l’attesa per questo Mesozoic | Cenozoic è stata febbrile, considerando anche gli eventuali ritardi causa Covid e il fatto che il primo singolo (scelta ambiziosa quella di rilasciare il brano più lungo, oltre tredici minuti) mi aveva sì convinto, ma non tanto quanto i pezzi di Palaeozoic.
Come sempre attentissimo ai dettagli già a partire dal packaging (anche per quanto riguarda l’LP standard, non sono nelle condizioni di aprirmi un mutuo per le varie edizioni super deluxe con fossili e amenità varie), il collettivo teutonico chiude l’arco temporale che era iniziato con Precambrian nel 2007, giungendo al termine di questo nuovo lavoro all’epoca geologica attuale, l’Olocene. Già il titolo fa intuire che il disco è composto da due sezioni separate in maniera piuttosto netta: quasi metà della durata totale è occupata dalle prime due tracce, che insieme rappresentano appunto Mesozoic.
Le primissime note mettono sul piatto uno degli elementi chiave, ovvero un carattere più riflessivo e sommesso che trova ampio spazio nella seconda sezione. “Triassic” apre le danze con classe, alternando assalti frontali e melodie orientaleggianti e spianando la strada a “Jurassic | Cretaceous”: il pezzo più complesso del lotto vede anche il ritorno di Jonas Renkse, che deve averci preso gusto dopo la bellissima “Devonian: Nascent” nel disco precedente e dà un contributo ad alto tasso emotivo. I testi, come consuetudine, giocano a cavallo tra riferimenti al periodo geologico di riferimento e punti di vista più introspettivi; in questo caso si intuisce — un po’ come in “Permian: The Great Dying” — un riferimento alla situazione attuale:
«Radiant collapse, planetary scale
Our indecent errors paved the way
Truth long known before our last deeds
And the world we know will go down in flames.»
La seconda parte di Phanerozoic II è permeata da una grande varietà, con brani che si attestano sui cinque minuti di durata ciascuno con il proprio carattere ben distinto. L’arco di tempo tra il Paleocene e i giorni nostri si snoda tra episodi più aggressivi come “Palaeocene” e “Miocene | Pliocene” — in cui si finisce addirittura su territori quasi black metal tra blast beat e scream — e, come dicevo prima, molti momenti più riflessivi con cui i The Ocean danno un lustro quasi inedito alle loro composizioni: su tutti, mi sento di segnalare la strumentale “Oligocene”, dal sentore urbano con echi synthwave, e la conclusiva “Holocene”, anche qui con sintetizzatori azzeccatissimi che si affiancano al basso pulsante, vero protagonista della canzone.
Non mi soffermo più di tanto sulla prova strumentale, assolutamente sopra le righe per tutta la durata del disco e ricca di stratificazioni che lasciano qualcosa da scoprire a ogni ascolto, ma una menzione d’onore va alla violoncellista Dalai Theofilopoulou, il cui contributo mi aveva fatto già sbrodolare in Phanerozoic I e che ritrovo con somma gioia sulle due tracce finali del secondo capitolo. Per chi non ne avesse abbastanza, anche questa volta è disponibile la versione interamente strumentale, per un’esperienza ancora più totalizzante.
Ammetto che a un primissimo ascolto questo Phanerozoic II mi ha lasciato un po’ spiazzato, proprio per il suo essere più posato in diversi momenti. Com’era prevedibilissimo, però, è bastato un approccio un po’ più concentrato per farlo schizzare in cima alle mie preferenze, sia tra i dischi di quest’anno che tra quelli di Robin Staps e soci: sicuramente sul podio, insieme al precedente e al quasi inarrivabile Pelagial.