THE TEMPLE – The Temple
Anno nuovo, dischi vecchi. In realtà non tanto, perché uno dei trentordici, classici recuperoni di inizio anno risale ad appena un paio di mesi fa: il debutto omonimo dei The Temple è uscito quasi in sordina sotto Profound Lore e basta spulciare un po’ per capire che non ci troviamo affatto di fronte a novellini del mestiere.
Il duo un po’ vecchio, in realtà, lo è. The Temple è infatti l’unica testimonianza di un’attività ormai più che decennale — il progetto è nato nel 2009 — e quantomeno uno dei due musicisti coinvolti non è certo personaggio che ama stare a girarsi i pollici. I The Temple non sono altro che un’emanazione collaterale degli Ulcerate, con Paul Kelland che qui canta e suona sia chitarra che basso. Oltre a lui, dietro le pelli (e i testi) c’è James Wallace, cantante nelle prime due demo del noto gruppo neozelandese, mentre James Saint Merat — tentacolare batterista sempre degli Ulcerate — è dietro le quinte alle prese con mix e master. Che dire.
Rispetto alla band madre, l’opera dei due è sicuramente più accessibile: i chitarroni ribassati macinano un riff dopo l’altro sorretti da una sezione ritmica corposa e devastante, che modula con estrema disinvoltura un mix densissimo i cui contorni non sono mai definiti, tra black, death e doom metal, mentre Kelland ruggisce che è un piacere e i sei brani arrivano dritti come una pala sulle gengive. Con i tecnicismi contorti rimasti in soffitta, gli unici punti di connessione con gli Ulcerate sono le dissonanze — in questo caso centellinate e sempre al punto giusto — e le tematiche: una visione della vita, della morte e della spiritualità in genere nera come la pece, tra misantropia e gnosticismo.
Un ascolto violento e opprimente, sia in episodi più riflessivi e vicini al post-metal come “Pale Horse Of Pestilence” che in quelli più laceranti tra blast beat e doppia cassa: i tamburi di “Hell Incarcerate” sentenziano morte tra una sfuriata e l’altra, “Wolf In The Vortex” si apre in abissi in cui volgere lo sguardo a proprio rischio e pericolo. È vero che il disco potrebbe suonare a tratti simile a se stesso, ma c’è una discreta varietà che lo rende estremamente apprezzabile.
Debutti simili non si sentono con molta frequenza: i The Temple sono una testimonianza forte della capacità di questi due signori di mettere leggermente da parte le velleità cervellotiche per darsi alla sanissima e cupissima violenza. Niente di nuovo sotto il sole, ma sui solchi di questo disco di sole non ne arriva neanche un po’.