THY CATAFALQUE – Alföld
Ogni volta che esce un lavoro firmato Thy Catafalque mi ritrovo a rispolverare le stesse convinzioni: la prima è che Tamás Kátai possiede la stessa proverbiale capacità che aveva Re Mida di trasformare tutto ciò a cui mette mano in un tesoro musicale. La seconda, che va a braccetto con la prima, risulta essere la consapevolezza che il suddetto Tamás Kátai saprebbe sfornare un disco convincente anche se avesse a disposizione un flauto dolce scassato di quelli che ti propinavano alle medie, un cucchiaio di legno e uno zampirone. La terza è che Alföld non smentisce affatto le due affermazioni precedenti, semmai le corrobora.
È ormai risaputo come Thy Catafalque non sia un’entità facilmente inquadrabile negli stretti confini di qualsiasi categoria musicale si tenti di utilizzare per darne una descrizione, perché ci sarà sempre qualche elemento sfuggente a vanificare gli sforzi degli etichettatori seriali; per questo motivo, non è sempre facile seguire il filo delle sue evoluzioni sonore. Tuttavia, questa volta Alföld può essere suddiviso in capitoli che danno vita a un’esperienza immersiva, dove la prima parte è rappresentata da brani in cui viene suonato un black metal massiccio e poderoso, non privo di una componente melodica, ma certamente ben lontano dalle digressioni folk e pop che si ritrovano spesso nella produzione musicale di questo progetto.
A un primo impatto Alföld potrebbe sembrare dunque un ritorno alle radici, ma questa descrizione regge solo per poche tracce, perché già arrivati al terzo brano ci si imbatte nella personalità musicale pop e catchy di Thy Catafalque; il punto nevralgico di questo incontro tra glacialità e calore è rappresentato dalla title track, non a caso piazzata quasi a metà disco, dove le chitarre perforanti e la batteria incalzante incontrano i synth e le eteree melodie folk che, qualche anno fa, popolavano Naiv.
Proprio a partire da questo incontro, l’anima aggressiva e incalzante di Alföld intavola un interessante dialogo con la componente melodica che permea in maniera indelebile il caleidoscopio sonoro di Thy Catafalque, ancora una volta arricchito notevolmente dalle numerose collaborazioni — sia strumentali che vocali — di cui Kátai si è avvalso anche in questa sede. Il risultato finale è un continuo gioco di contrasti, dove il rischio di scadere nella noia è scongiurato dal dinamismo con cui elementi così diversi tra loro vengono combinati in maniera molto convincente.
Nonostante una traduzione grossolana del titolo suggerisca che Alföld significhi “pianure”, questo disco è tutt’altro che piatto o prevedibile; gli anni passano e la discografia di Thy Catafalque si espande, ma la creatura mutaforme di Tamás Kátai non sembra affatto perdere la sua fame di sperimentazione.