TÖXIK DEATH – Sepulchral Demons
Che il thrash in Norvegia sia particolarmente apprezzato non è certo un mistero, con gli Aura Noir capostipiti di un certo filone dal sound primordiale già in tempi non sospetti, nel lontano 1993. Esempio lampante dell’attività in questo specifico sottobosco è la Kolbotn Thrashers Union, capitanata nientepopodimeno che dai Darkthrone e con gruppi che hanno raccolto risultati variabili, dagli Infernö ai più recenti Nekromantheon e Condor. Una scena che però non si limita a Oslo e dintorni, ma si spinge anche sulla costa ovest con — tra gli altri — i Töxik Death.
La band di Sandnes, poco a sud di Stavanger, si è presa il suo tempo prima di tornare con Sepulchral Demons, e non necessariamente per perfezionismo e voglia di fare le cose per bene: dopo l’uscita dell’acerbo Speed Metal Hell, è andata molto vicina allo scioglimento, perdendo tre dei cinque membri, ovvero il cantante e la sezione ritmica in toto. A un primo confronto tra i due lavori, viene però da pensare che questo terremoto abbia quasi giovato ai Töxik Death, perché il passo avanti rispetto a sei anni fa è gigantesco.
Sepulchral Demons è uno di quei dischi per nulla difficile da inquadrare, già dalle prime note: un thrash dalle tinte e tematiche un po’ oscure che, come altre opere più o meno contemporanee dalla stessa regione geografica, rende i suoi omaggi ai primi Slayer, alla corrente teutonica e in generale al periodo in cui andava ancora di moda chiamarlo speed metal. I cinque ragazzi non accennano a sollevare il piede dall’acceleratore, se non in alcuni, rari momenti come l’inesorabile “Morbid Divination”; il resto è un’orgia di riff taglienti, assoli al fulmicotone e tupa-tupa senza compromessi, con una voce vicina ai latrati di un imberbe Tom Araya.
Per quanto mi riguarda, il thrash più tradizionalista vecchio stampo ha pochissime chance di coinvolgermi e, se proprio devo, preferisco cercare qualcosa di più peculiare. Ciononostante, l’anima old school e leggermente maligna di Sepulchral Demons lo rende comunque appetibile, sicuramente grazie anche a ciò che mancava al suo predecessore, ovvero dei suoni adeguati. Una ventata d’aria non certo fresca, ma che si lascia respirare volentieri a pieni polmoni.