TRIBULATION – Down Below
Sembra proprio che i Tribulation, alla fine, abbiano trovato la quadra: ci hanno impiegato quattordici anni, quattro album e una serie di uscite minori, ma alla fine sono arrivati. Con Down Below il quartetto di Stoccolma prende tutto ciò che di buono ha fatto finora, lo ripulisce di tutti gli orpelli non necessari e lo rifinisce, perfezionando ulteriormente il proprio sound, ormai personalissimo.
Il più bel risultato ottenuto dai Tribby è quello di essere rimasti assolutamente coerenti nel proprio sviluppo, di aver trovato una cifra stilistica personale e di averla fatta crescere con dedizione album dopo album. Dal death metal piuttosto classico degli esordi, che sul debutto The Horror lasciava intuire solo a tratti l’interesse del gruppo per suoni più goth e progressivi, è stato necessario affrancarsi con le deviazioni eccessive e non proprio centratissime di The Formulas Of Death.
A qualche anno di distanza quel disco, con i suoi debordanti e spesso ridondanti settantacinque minuti di registrazioni, può davvero essere letto con una consapevolezza diversa, quasi revisionista, come una dimostrazione delle possibilità che casa Tribulation si trovava a disposizione. The Children Of The Night, ancora, è il disco della scelta e della sintesi (non a caso durava venti minuti in meno del suo predecessore), mentre oggi, finalmente, Down Below è l’album del definitivo compimento.
Oggi il metal estremo non è che una parte, tanto fondamentale quanto ormai niente affatto predominante, del sound dei Tribulation. Intanto, Andersson e compagni hanno asciugato ancora di più la produzione e l’intero album supera appena i tre quarti d’ora di durata, poco più della metà di The Formulas Of Death; all’interno di questi trovano tanto, tantissimo spazio arrangiamenti melodici e atmosfere goth settantiane, quelle cose un po’ post-punk, un po’ new-wave, un po’ dark che non si è mai ben capito dove finissero le une e cominciassero le altre. A Stoccolma, Bauhaus, primi Cure e addirittura i Goblin di Simonetti non sono mai passati di moda e, soprattutto da questi ultimi, i quattro raccolgono a piene mani le atmosfere orrorifiche e allucinat(ori)e tanto care ai collaboratori storici di Dario Argento.
La personalità dei Tribulation, ormai è cosa nota, sta nel passaggio successivo, ossia prendere tutte queste influenze apparentemente lontanissime dal metal estremo e infilarle con una naturalezza disarmante in canzoni che idealmente avrebbero una matrice death metal. Poi, ormai parlare di death metal è del tutto fuori luogo: blast beat se ne vedono pochissimi, riffoni megalitici manco a parlarne, ma forse è proprio per questo che il misto con il prog e il goth settantiano funziona. Esattamente come funzionano i temi orrorifici e vampireschi, colonna portante del lavoro degli Svedesi, mai trattati con la pacchiana superficialità di altra gente ben più sguaiata.
I Tribulation, insomma, nonostante parlino di oltretomba, di sangue e di tutta una serie di cose non proprio nuove, lo fanno in modo originale, dandosi un contegno, un’aura di rispettabilità che non sfocia mai nella pacchiana autoindulgenza. Tra i pochi, insieme ai Vision Bleak del visionario Schwadorf, a rimanere credibili.
La voce di Johannes Andersson è sempre sporca e inquietante, ma si snoda su canzoni sempre meno estreme e, ancora una volta, più personali: arpeggi new wave, rallentamenti, forme e contenuti rock. Cosa ancora migliore e più importante: le canzoni dei Tribulation funzionano. La formula è affascinante e oggi, finalmente, si sente che la band la padroneggia, ne è in controllo consapevole.
Down Below è proprio un bel disco e cresce sulla lunga distanza, sorprendendo da un lato per la sua facile assimilabilità, dall’altro per come riesce a non essere mai banale anche dopo numerosi ascolti.