UBUREN – Usurp The Throne
Attivi da tredici anni, ma con una parentesi iniziale a nome Skyggegjemsel, gli Uburen sono un trio norvegese, proveniente dai dintorni di Stavanger e giunto in questo inizio di 2023 al quarto album, sulla nostrana Dusktone dopo un paio di uscite autoprodotte e una sulla polacca Via Nocturna.
Usurp The Throne arriva dopo un cambio di lineup, con il nuovo batterista Wrage Steinarson al fianco dei fratelli Ask e Bior Kjetilson (rispettivamente chitarra e basso, con entrambi alla voce) e si presenta con un’estetica inequivocabilmente vichinga e battagliera. Uburen in norreno antico vuol dire qualcosa di simile a scartati, con un significato che rimanda all’antica leggenda spartana dei neonati deformi o non voluti gettati da una rupe. Scartati e incazzati quindi, nello specifico con Dio, visto come appunto l’usurpatore di un ipotetico trono pagano e artefice di una serie di menzogne e illusioni ai danni dell’uomo costretto alla sofferenza, dal quale bisogna liberarsi.
Questo è il tema portante del disco, che si traduce in un black metal non particolarmente malvagio, dal sapore leggermente epico come da tradizione viking. L’inizio un po’ in medias res di “En Død Manns Drøm” fa da apripista a un lavoro che viaggia su binari ben definiti, senza particolari scossoni: Usurp The Throne raramente si dà all’aggressività più spinta, preferendo non discostarsi troppo dai mid-tempo costruiti su tappeti incessanti di doppia cassa e caratterizzati da una certa orecchiabilità nelle atmosfere e nei riff perennemente in tremolo, senza però risultare melodico in senso stretto. Gli insegnamenti di connazionali come Enslaved e Satyricon si sentono, per esempio nella lenta e riuscita “None Is Forgotten”, con qualche eco dell’era di mezzo di Satyr e Frost.
La pecca più grande degli Uburen, tuttavia, è il voler aderire troppo a uno stile compositivo con il quale si trovano evidentemente a proprio agio. A momenti decisamente validi, tutti più o meno concentrati nella seconda metà del disco, si contrappongono brani in cui pare che i tre norvegesi finiscano per incartarsi sugli stessi giri. “Harken Now” e “When The River Breaks” — con la loro ripetitività — sono un perfetto esempio, e il rischio che l’ascoltatore casuale perda interesse già alla seconda traccia (intro esclusa) non è indifferente.
Al netto di qualche episodio come quelli appena citati, Usurp The Throne è un disco onesto che si lascia apprezzare, ma rimane un po’ l’amaro in bocca: se solo gli Uburen avessero osato di più in termini compositivi, il risultato sarebbe stato decisamente migliore.