WALG – III
Tra le svariate riflessioni fatte dai Walg nel corso della nostra intervista di qualche settimana fa, una in particolare mi è rimasta particolarmente impressa: il fatto che ormai l’essere umano sia talmente disconnesso dalla propria essenza da non avere nemmeno più radici che affondano in un terreno solido, preferendo invece protendersi verso il nulla. Sono fermamente convinta che Yorick e Robert abbiano ragione, per quanto una simile consapevolezza possieda anche dei risvolti devastanti, che dovrebbero farci ulteriormente rimuginare sul come, in una situazione del genere, diventi difficile individuare dei punti fermi a cui aggrapparsi.
Ascoltando III, mi viene da credere che i Walg abbiano individuato qualche certezza, almeno dal punto di vista musicale: la band olandese infatti si attesta a pieno titolo fra le poche fortunate che riescono a mettere d’accordo tutti gli estimatori del black metal melodico, da quello più sferzante e incline alla misantropia che fa capo alla scuola scandinava dagli anni Novanta in poi, fino ad arrivare alla sua controparte disillusa e accorata che si è fatta strada nei nostri padiglioni auricolari nel corso degli ultimi quindici anni.
III mantiene una certa coerenza con il filone narrativo del disgusto verso l’umanità a cui i Walg sono apertamente votati, ma questa volta i Nostri sono riusciti a diversificare ulteriormente il loro linguaggio espressivo, arricchendo il proprio songwriting con una componente folk che sembra rimandare a una dimensione primordiale, in cui lo sdegno nei confronti del genere umano può assumere una forza e un impeto pari solo a quelli del proverbiale fulmine in grado di incendiare un tronco. In questa ottica si muovono i cori quasi sciamanici incastrati insieme all’accoratezza tipica del black contemporaneo, in un mosaico di violenza atavica che troviamo con un certo godimento all’interno di brani come “Geselberg”.
Non dimentichiamo, però, che i Walg si definiscono soprattutto come un gruppo black metal melodico e, in effetti, anche in questa sede la melodia ricopre il ruolo di protagonista delle varie tracce, diventando ora un elemento perforante, ora un catalizzatore di pause riflessive che aiutano a stemperare le mazzate esistenziali sferrate. In altri momenti, invece, l’aspetto melodico è dato dalla presenza di tastiere che contribuiscono a creare atmosfere maestose che richiamano un po’ i Dimmu Borgir di Puritanical Euphoric Mysanthropia come accade in “Labyrinth” e “Beerput Der Onwetendheid”.
Come se tutto questo non bastasse ancora a rendere il mancato ascolto di III un crimine, i Walg hanno deciso di superarsi e di chiudere in bellezza inserendo una riuscitissima cover di “Mourning Palace” dei già citati Dimmu Borgir, declinata in una versione che, pur mettendo in mostra le caratteristiche più moderne del duo olandese, non stravolge l’epicità demoniaca dell’originale: al contrario, questi elementi a contrasto finiscono per valorizzarla, ponendola sotto una luce nuova.
Tirando le somme, III si attesta tranquillamente come la miglior prova discografica che i Walg ci abbiano finora offerto, il che conferma ancora una volta la mia opinione circa questo progetto: siamo di fronte all’anello di congiunzione perfetto fra tradizione e presente, fra melodia e brutalità, fra l’orrore della disperazione e la vaga speranza che tutto sommato, da qualche parte, esistano ancora certezze alle quali ancorarsi.